Alberto nasce il 21 marzo 1918 da Maria e Alfredo Marvelli, secondogenito di 5 figli. Nella sua parrocchia, Maria Ausiliatrice, tenuta dai Salesiani, esiste un fiorente oratorio. Alberto si iscrive subito alla Gioventù Cattolica Italiana del circolo “D. Bosco” e inizia a frequentare assiduamente l’oratorio. La morte del babbo, avvenuta improvvisamente nel 1933, quando è appena quindicenne segna per sempre la vita del giovane Marvelli: sarà Alberto a sostenere la madre e i fratelli, diventando quasi un secondo padre per tutta la famiglia.Poco dopo la morte del padre, Alberto comincia a scrivere un Diario e ad esso affida pensieri, riflessioni, preghiere: scrive quando ne sente la necessità. Il Diario è la storia della sua vita interiore, del suo cammino spirituale, della sua esperienza di Dio, della sua preghiera. Incontri, date, persone, avvenimenti storici sono riportati solo per farli oggetto di meditazione, di riflessione alla luce della parola di Dio, di preghiera.
Alberto ha un fisico forte, robusto, sano ed esprime nelle attività sportive tutta la sua naturale esuberanza. Ama tutte le discipline, ma lo sport di gran lunga più praticato da Alberto è il ciclismo. Se un pittore dovesse fare un ritratto di Alberto, dovrebbe dipingerlo in bicicletta. Per sport, per necessità, per apostolato, Alberto si affida sempre alle due ruote.
Nell’Azione Cattolica Alberto realizza la maturazione del suo cammino spirituale. Una lunga militanza, entusiasta, attiva, responsabile. Alberto viene prima chiamato a far parte del Consiglio diocesano, divenendo prima Segretario diocesano, poi delegato diocesano studenti e vice presidente diocesano. Il parroco di Maria Ausiliatrice lo chiama a reggere la presidenza del Circolo di Azione Cattolica.
Alberto si iscrive allora all’Università di Bologna alla Facoltà di ingegneria meccanica, e contestualmente si iscrive alla FUCI. Negli anni dell’Università, durante l’estate Alberto lavora, come molti altri studenti, negli stabilimenti saccariferi della zona, durante il periodo della raccolta della barbabietola da zucchero. Il 30 giugno 1941, dopo 5 anni di università, si laurea con 90/100.
L’aspirazione profonda del suo cuore è la santità: “Non per essere solo migliore di altri, non per guardare con disprezzo i peccatori, ma solo per la Tua maggior gloria, per essere l’umile servo delle anime, onde portarle a Te, come S. Francesco, giullare di Dio, sotto la protezione della Vergine madre”. Alberto sa che la santità è dono di Dio, ma richiede tutta la collaborazione dell’uomo.
Per quanto sta in lui si impegna in un programma di vita rigoroso e umile al tempo stesso: “Devo assolutamente vincere i miei scatti di impazienza, ed usare invece con tutti una amorevole pazienza ed una carità ardente. Prima di agire devo pensare a quello che faccio e devo altresì considerare come io mi sarei comportato trovandomi nella tale occasione. Devo assolutamente perdere il vizio di giudicare il prossimo, se non voglio poi essere giudicato da Dio”.
L’Italia entra in guerra il 10 giugno 1940, forte dei travolgenti successi tedeschi contro Francia e Inghilterra. Alberto condanna apertamente questa guerra, ma appena conseguita la laurea, deve subito presentarsi al Distretto militare di Forlì per la visita medica. Risultato “abile e arruolato”, il 7 luglio, partì alla volta di Trieste, per prestare il servizio militare, in qualità di allievo ufficiale. Alberto sente di dover vivere quella “chiamata alle armi” con dignità, convinto che fosse un dovere da compiere nel migliore dei modi.
Già dal suo primo arrivo in caserma, Alberto si preoccupa di avvicinare, tra reclute e graduati, membri di Azione Cattolica e quanti altri siano disposti a dare testimonianza di fede con coraggio, organizzando incontri formativi e partecipando alla Messa. Il suo stile di apostolato è quello di mettersi accanto, servire, testimoniare.
Congedato da Trento, nel marzo 1943, viene inviato a Treviso, dove continua il suo intenso postolato in caserma e in parrocchia. Seguendo il suo esempio soldati e ufficiali cominciano ad affollare la Messa domenicale e ad accostarsi alla Comunione. Nel pomeriggio della domenica Alberto prende l’abitudine di guidare in parrocchia un gruppo dai sessanta ai cento commilitoni.
Il 1 novembre 1943 diciotto cacciabombardieri inglesi rovesciano su Rimini una valanga di bombe. E’ l’inizio di un martirio che durerà fino al 21 settembre 1944. Saranno 10 mesi di straziante agonia. Miseria. Fame. Sequestri. Saccheggi. Vessazioni. Rastrellamenti. Vendette. Il 98% dei fabbricati risulterà distrutto o danneggiato. La gente sfolla dalla città; molti si fermano nei paesi di periferia, altri fuggono più lontano. Anche la famiglia Marvelli sfolla a Vergiano, una collina a 5 chilometri da Rimini.
Alberto comincia una intensa opera di assistenza morale e materiale agli sfollati e un continuo pellegrinare in bicicletta da Vergiano a Rimini, dopo ogni bombardamento, per portare aiuto, ovunque ce ne sia bisogno. Alberto è il primo a piombare sulla città fumante e si prodiga per soccorrere i feriti, incoraggiare i superstiti, assistere cristianamente i moribondi, sottrarre alle macerie quelli che erano rimasti o bloccati o sepolti vivi, aiutare i feriti, mettere in salvo le masserizie. Regala materassi, coperte, pentole. Dona la sua bicicletta e tutte quelle del centro diocesano di Azione Cattolica, che servono per la propaganda, ad operai perché possano recarsi al lavoro. Dona le sue scarpe, i suoi vestiti, la sua coperta di lana.
Nel dicembre cominciano i micidiali rastrellamenti di uomini da inviare in Germania per la produzione bellica o da impiegare per le opere di fortificazione sulla linea gotica.
In questa situazione Alberto pensa di andare a lavorare nell’organizzazione Todt alle dipendenze dei Tedeschi, con l’obiettivo non di collaborare con i Tedeschi, ma per tentare di impedire la deportazione di tanti giovani, tentare di salvare molte vite e cercare di fare in modo che i Tedeschi non attuino il loro piano di demolizione totale delle ville sul mare, per far posto a fortificazioni antisbarco.
Alla fine del 1943 o all’inizio del 1944 Alberto entra nella Todt. Viene accettato, per la sua conoscenza della lingua tedesca e per la sua laurea in ingegneria. Ha subito un ruolo direttivo e un “lasciapassare” per i lavori. La sua posizione gli permette di muoversi con libertà, di continuare la sua opera di assistenza agli sfollati e di salvare innumerevoli vite. Quando è a conoscenza di prossime “retate”, si adopera per far fuggire molti giovani. Ad altri procura documenti e lasciapassare, facendosi garante davanti ai Tedeschi.
Una attività così intensa non puòa non destare subito sospetti. I Tedeschi capiscono ben presto qual è il suo “lavoro”. Nel luglio viene preso con altri 16 giovani e rinchiuso nella corderia di Viserba per essere spedito al Nord. Alberto però non si dà per vinto e organizza la fuga con l’aiuto dell’amico Zangheri.
Nell’estate del 1944, nonostante una feroce decreto tedesco, che minaccia la fucilazione a chi ospitati renitenti alla leva, Alberto accoglie nella sua casa di Vergiano due giovani dell’ultima classe richiamata alle armi dalla repubblica di Salò: Fausto Lanfranchi e Giorgio Placucci.
Al momento della liberazione Rimini è allo sbando: senza guida e senza autorità pubbliche operanti. In questa situazione la “resistenza riminese” dà un forte contributo, sostituendosi validamente alle autorità pubbliche non ancora costituite. Il 23 settembre si insedia in Rimini la Giunta del Comitato di Liberazione Nazionale, che riunisce anche i poteri del Consiglio Comunale, formata da elementi dei vari partiti antifascisti. Fra gli assessori della Giunta c’è Alberto Marvelli; che tutti hanno riconosciuto e apprezzato per l’enorme lavoro di assistenza agli sfollati. E’ giovane, ha solo 26 anni; ma ha la concretezza nell’affrontare i problemi, il coraggio nelle situazioni più difficili.
Non vi sono solo case da ricostruire, servizi da ripristinare, vettovaglie da provvedere, ma c’è una città che deve ritornare a vivere “democraticamente”; che è ancora percorsa da “sentimenti di violenza, di intolleranza o moti inconsulti”. Perciò il nuovo Sindaco invita tutti a lavorare “per una progressiva e lenta opera di ricostruzione con costanza e tenacia, in una atmosfera di pace, di tranquillità e di solidarietà umana”.
Per rispondere ai bisogni più urgenti della città, la Giunta comunale costituisce una Commissione edilizia comunale, alla cui presidenza viene posto l’assessore ing. Alberto Marvelli. Poi viene affidata all’ing. Marvelli anche la Commissione comunale alloggi. Lo scopo di tale commissione è di “disciplinare la assegnazione degli alloggi in città e frazioni, comporre vertenze fra proprietari e affittuari, requisire appartamenti, eseguire accertamenti di alloggi disponibili”.
L’ing. Marvelli lavora con rapidità e decisione; con chiarezza e trasparenza nella gestione delle enormi somme di denaro che deve assegnare ai sinistrati, con senso di giustizia ed equità.
Nel giro di pochi mesi viene nominato ingegnere responsabile del sezione locale del Genio civile.
Nel 1945 Benigno Zaccagnini gli propone di lavorare nel partito della Democrazia Cristiana. Alberto ci pensa alcuni giorni; ne parla col Vescovo. Infine accetta. Non avverte fratture tra l’attività nell’Azione Cattolica e l’impegno politico a cui è chiamato, perché crede che solo attraverso l’impegno politico possano incarnarsi nella prassi e informare la società che si va ricostruendo ideali di solidarietà e di giustizia.
Alberto inizia il suo lavoro nel partito in un momento difficile; all’iniziale collaborazione con le sinistre si è sostituito un duro scontro ideologico. Lo scontro frontale avviene inevitabilmente tra i due partiti di massa, la D.C. e il P.C.I.. Anche in questa atmosfera, così poco favorevole al dialogo, Alberto sa trovare l’atteggiamento giusto: appassionato assertore dei principi ispiratori del suo partito, si tiene però lontano da ogni faziosità.
Fare comizi non è un “mestiere” facile. Si deve procedere tra fischi, urla, provocazioni di ogni sorta. In un comizio tenuto a Spadarolo, gli “avversari” rovesciano la tribuna preparata per l’oratore; Alberto non si scompone, con calma rimette le cose a posto e riesce a farsi ascoltare. La politica per lui è amore, è l’estrema conseguenza della carità sociale e strumento di verità.
“Non bisogna portare la cultura solo agli intellettuali, ma a tutto il popolo”: i Laureati devono assumersi questo impegno. Nell’inverno del ‘45-’46, Alberto dà vita ad una Università popolare, coll’intento di divulgare la cultura, coinvolgendo tutta la comunità cittadina. Organizza la pasqua degli operai; non si invitano gli operai a venire in chiesa, ma si va da loro, all’uscita dai cantieri, dalle fabbriche e dai laboratori femminili. Si forma un capannello, si ascolta, si discute. Alberto impegna in questa attività tutti i laureati cattolici.
La guerra ha lasciato sulla strada molti relitti umani: barboni, poveri, sbandati, senza tetto. Anche a loro, anzi soprattutto a loro, va annunciato il Regno di Dio. Alberto organizza a Rimini la Messa e la mensa del povero. La S. Messa si celebrava alle 9.30 a S. Croce. Finita la Messa, Alberto serviva i commensali. Mangiava con loro, li ascoltava, dialogava, prendeva appunti delle loro richieste.
La sera del 5 ottobre 1946 Alberto saluta in fretta la mamma sulle scale e sale sulla bicicletta per recarsi ad un comizio. Sono le ore 20.30 circa. A duecento metri da casa, viene investito da un camion militare, che ritorna sulla destra dopo aver sorpassato un filobus in sosta alla fermata. Il camion, che va a folle velocità, lo colpisce al capo con il gancio della sponda laterale, scaraventandolo contro il muretto di cinta di una villa.
I passeggeri del filobus vedono agghiacciati la scena e chiamano soccorso. Immediatamente Alberto è trasportato presso la Casa di cura “Villa Assunta”: non ha ferite, ma ha perso conoscenza, per il forte colpo alla testa. Gli viene praticata anche la respirazione artificiale. Inutilmente. La mamma accorse subito con il fratello Giorgio e lo assistette fino alla morte.
Il giorno dopo la camera ardente è allestita nella chiesa dei Salesiani. Centinaia e centinaia di persone, di tutti i ceti, la visitano: dal vecchio sindaco socialista, ai politici, agli amministratori, agli amici, ai poveri. Intanto la città viene tappezzata di manifesti che esprimono il dolore per la perdita della sua irrompente giovinezza ed elogiano le sue virtù umane e cristiane. Anche la cellula comunista di Bellariva scrive: “I comunisti di Bellariva si inchinano riverenti e salutano il figlio, il fratello che tanto bene ha sparso su questa terra”.
Il funerale si svolge il martedì 8 ottobre alle ore 15 nella chiesa dei Salesiani. C’è tutta Rimini. La bara è portata a spalle dagli amici dalla chiesa al cimitero, con un corteo che si estende per circa tre chilometri.
Nei primi mesi del 1991, il Prof. T.M. primario di otorinolaringoiatria in un Ospedale di Bologna, è afflitto da una grave forma di “ernia discale di tipo mediano e paramediano sinistro, con interessamento dei muscoli della coscia, in fase di atrofizzazione ed inizio di assottigliamento rispetto all’altro arto con dolori lancinanti e difficoltà alla deambulazione”, che impedisce al malato di esercitare la sua professione. Non riuscendo a lavorare decide di prendere un mese di aspettativa, da passare in Riccione. Su suggerimento della cognata, si reca sulla Tomba di Alberto Marvelli, nella chiesa di Sant’Agostino in Rimini, per implorare la grazia della guarigione. Prega intensamente il venerabile Alberto, che non conosceva prima della visita alla tomba. Nel giro di poco tempo i dolori scompaiono e il professore può riprendere l’esercizio della sua professione.
La Commissione Medica della Congregazione dei Santi, riunitasi il 14 novembre 2002, dopo un serio esame di tutta la documentazione del precedente processo tenutosi in Bologna e di una accurata visita medico-clinica del professore, conclude: “Il vissuto clinico del malato, la completa e duratura remissione sintomatologica e la persistente assenza di deficit funzionali, non trova giustificazione scientifica, neanche allo stato attuale delle conoscenze mediche. Riteniamo pertanto si tratti di evento allo stato inspiegabile”.
Il 4 marzo 2003 la Commissione Teologica della Congregazione dei Santi riconosce che la guarigione è miracolo ottenuto per l’intercessione del venerabile Alberto Marvelli. Grazie a questo riconoscimento Alberto Marvelli è stato proclamato Beato il 5 settembre 2004 da Giovanni Paolo II nella piana di Montorso alla presenza di 300.000 laici giovani e adulti di ACI.