Pier Giorgio Frassati nasce a Torino il 6 aprile 1901 da Alfredo Frassati e Adelaide Ametis. Il padre è proprietario del quotidiano “La Stampa” e amico di Giovanni Giolitti, per molti anni capo del governo italiano, nel 1913 diventerà senatore e nel 1920 ambasciatore a Berlino. I gravosi impegni gli impediscono di seguire molto da vicino l’educazione dei figli. Spetta alla madre farsi maggiormente carico della crescita di Pier Giorgio e di Luciana, nata poco più di un anno dopo. La spiritualità di Adelaide Ametis, donna sensibile e artista, tende a limitarsi ai precetti religiosi. Il padre, non credente, non può accompagnare i figli nella scoperta della dimensione religiosa dell’esistenza, ma la rispetta e non ostacola il cammino. L’atmosfera educativa, come è l’uso dei tempi, è di generale rigidità.
Quando, fanciullo, apprende i primi racconti del Vangelo, Pier Giorgio ne resta colpito, a volte in modo così profondo da diventare protagonista di gesti inattesi in un bimbo tanto piccolo. Nell’infanzia i primi contatti non sempre soddisfano la sua viva voglia di apprendere il Vangelo. L’entrata nell’Istituto Sociale dei padri Gesuiti, provocata da una bocciatura, è un momento decisivo. Nell’Istituto Sociale la sua religiosità si può aprire a dimensioni fino allora ignorate. Entra in alcune associazioni di carattere spirituale (tra cui l’apostolato della Preghiera); a diciassette anni entra nella Conferenza di san Vincenzo, assumendo così un impegno costante di carità.
Pier Giorgio ha un animo attento e sensibile, rivolto per natura ad apprendere e approfondire ciò che arricchisce la sua umanità. Da un lato ciò lo porta ad apprezzare ogni forma dell’arte: la pittura e la scultura, la musica sinfonica e lirica, il teatro, la letteratura. Da un altro lo porta a ricercare il sapere teologico, per sempre meglio conoscere il disegno e la storia di Dio fra gli uomini.
Nel 1914 l’Europa è insanguinata dalla Grande Guerra e l’anno seguente l’Italia entra nel conflitto muovendo guerra all’Austria. La famiglia Frassati (giolittiana e liberale) è neutralista. Allo scoppio della guerra, Pier Giorgio, anche se molto giovane, si impegna alacremente per rendersi utile; per esempio, per aiutare i contadini, volle conseguire il diploma in agraria. Inoltre invia regolarmente ai soldati e alle loro famiglie i suoi piccoli risparmi.
La presenza degli altri ha nella vita di Pier Giorgio un posto fondamentale. La sua grande fede lo guida a leggere nel volto di tutti il volto di Gesù. Il suo cuore si apre così all’accoglienza dei fratelli, dei loro problemi, delle loro speranze, delle loro angosce. Pier Giorgio avvicina moltissima gente, di ogni età. Ricerca un valore grande: l’amicizia. Gode di poter dire dell’uno o dell’altro: “Quello lì è mio amico”. Per lui l’amicizia è un modo di vivere la Chiesa, come luogo accogliente in cui ciascuno è amato e rispettato per quello che è. E’ un modo concreto di aiutarsi vicendevolmente sul cammino della vita, che a volte si indurisce drammaticamente e rende tanto prezioso l’appoggio di chi ti sta vicino. Pier Giorgio vive l’amicizia con la disponibilità a dare e anche a ricevere. A dare ascolto, consiglio, aiuto concreto, dimostrandosi sempre sensibile alle esigenze degli amici: spronandoli, esortandoli, stimolandoli, sostenendoli. Ma mai con la presunzione di essere al di fuori degli stessi problemi. Anzi con l’umiltà di ricercare e accettare gli aiuti, i consigli, le esortazioni degli amici. Chiede la loro vicinanza, spesso domandando a loro di pregare per lui. Ma sempre senza chiedere nulla in cambio del proprio andare incontro per primo.
Pier Giorgio consegue la maturità classica nell’ottobre del 1918. Entrato nel mondo universitario iscrivendosi a Ingegneria Meccanica (con specializzazione mineraria), Pier Giorgio incontra la FUCI, Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Si iscrive al circolo “Cesare Balbo” nel 1919, pochi mesi dopo l’ingresso al Politecnico. Il periodo è caldo: l’Italia vive le grandi difficoltà e i fermenti del dopoguerra. I giovani cattolici si sentono parte in causa, e nelle loro organizzazioni si discutono le questioni su cui si poggia il futuro della nazione, e si agisce. La FUCI è per molti giovani un luogo privilegiato di formazione alla vita sociale e culturale. Il circolo “Cesare Balbo” si riunisce spesso, è numeroso e vivace. Vi si incontrano persone di diverso spessore e diversa sensibilità. Tra esse Pier Giorgio trova alcuni giovani che gli somigliano per passione, speranze, modo di intendere l’esistenza. Saranno tra i suoi più cari amici. Con loro condivide i momenti liberi, le escursioni sulle montagne tanto amate, e le tante occasioni di incontro e di stare insieme caratteristiche di un gruppo affiatato di amici e di amiche della FUCI femminile.
Pier Giorgio crea attorno a sé una piccola comunità di ragazzi e ragazze che vivono con serenità e rispetto la loro amicizia. Una comunità che prende anche un nome, quando il 18 maggio 1924 durante una gita viene fondata la “Società dei Tipi Loschi”. I suoi membri, “lestofanti” e “lestofantesse”, prendono un soprannome: Pier Giorgio è Robespierre. Il buon umore, la serenità sono la scelta dei Tipi Loschi, per dissipare nel cuore di ognuno “scrupoli e malinconia” e poter così “servire Dio in perfetta letizia”. Il vero legame è la fede. Ciò che davvero rinsalda è la preghiera.
Pier Giorgio Affronta lo studio con grande serietà. Ha scelto ingegneria mineraria perché desidera stare al fianco dei lavoratori tra i più sfruttati e meno garantiti dell’epoca, i minatori. Qualcuno gli ricorda che, essendo lui un “signore”, potrebbe anche fare a meno di studiare. E’ vero, ma la risposta è: “No, io sono povero come tutti i poveri. E voglio lavorare per loro”.
E’ consapevole che per fare bene un mestiere occorre competenza. Studiare per servire: vuole entrare nel mondo del lavoro pronto a fare la sua parte. Per realizzare il mondo più giusto che sogna, e battersi per la promozione degli umili e dei poveri, occorre avere una seria professionalità. Lo studio perciò è per lui un dovere sentito dentro di sé, che diventa impegno convinto e, spesso, energico, fatto anche di rinunce e di sacrifici. L’impegno tenace nello studio tempra senza dubbio la fibra morale di Pier Giorgio; la fatica della quotidianità, nel trattare le cose del mondo, è un tratto caratteristico della vocazione dei laici.
Il 14 maggio 1922 Pier Giorgio si iscrive al circolo “Milites Mariae” della Società della Gioventù Cattolica presso la sua parrocchia. Motto della Gioventù Cattolica è: Preghiera, Azione, Sacrificio. Tre parole che riassumono l’impegno quotidiano dei suoi aderenti. Pier Giorgio trova in esse lo specchio del suo modo di essere. Egli è davvero un uomo di preghiera, in continuo colloquio con Dio nelle liturgie comunitarie e nel segreto della sua camera. E’ un uomo di azione, per cui le parole contano per quello che significano e, quando sono inutili, sceglie di tacere. E’ un uomo di sacrificio, che non esita di fronte alla rinuncia di qualcosa se ciò gli permette di servire Dio, di fare del bene. Per Pier Giorgio la Gioventù Cattolica è sentirsi uniti dagli stessi ideali, dagli stessi sogni, dagli stessi impegni. E’ potersi aiutare a vicenda ad essere fedeli, a crescere. Della Gioventù Cattolica sente l’importanza della dimensione nazionale. I grandi raduni lo entusiasmano, e se può vi partecipa. Ama stringere rapporti con i giovani di regioni lontane. La fede è un legame più forte di qualsiasi distanza.
In Pier Giorgio si sviluppa presto, anche grazie alla vita pubblica del padre, l’attenzione alla dimensione sociale e politica. Da adolescente segue con sofferenza le vicende della prima guerra mondiale, e si trova poi immerso nei fermenti del dopoguerra. Tra i giovani cattolici è grande la voglia di fare la propria parte nella costruzione del futuro della nazione. I problemi sociali sono scottanti, le tensioni politiche forti. Pier Giorgio, che nutre un grande amore per la pace, crede fermamente alla possibilità di edificare una società giusta, di uguaglianza e di libertà, dove i beni siano equamente distribuiti. Ha coscienza che l’azione caritativa non basta, che bisogna risolvere i problemi sul piano dell’ordinamento sociale. Vede nel Partito popolare italiano, fondato da don Sturzo nel 1919, lo strumento adatto per perseguire i suoi ideali. Dopo un periodo di “quarantena”, per la parentela con il Frassati notissimo liberale, la sua domanda di iscrizione viene accolta.
Nel Partito mantiene il suo stile: non posti di prima linea, ma disponibilità ai servizi anche più umili. Ugualmente pronto a pulire la sede, ad attaccare manifesti di notte (con il rischio delle risse con gli attivisti di altri partiti), ad accompagnare gli oratori nei posti più “caldi” dove il suo corpo robusto e la sua calma sono preziosi in caso di bisogno. E’ schierato su posizioni di sinistra, nell’ala più avanzata del partito. Vive con passione il Congresso Popolare di Torino nell’aprile ‘23, dove si discute la collaborazione con il Partito fascista.
Il giudizio di Pier Giorgio sul fascismo, al pari del padre dimessosi da ambasciatore per la salita di Mussolini al potere, è durissimo. Lo esprime più volte, anche in pubblico, senza nessun timore. Vede con amarezza alcuni deputati popolari compromettersi con il regime, mentre egli addirittura chiede di iscriversi al circolo della Gioventù Cattolica di Guastalla, più volte aggredita dai fascisti. Egli stesso sventa un’aggressione fascista in casa.
La vita di Pier Giorgio è tanto significativa ancora oggi probabilmente per il senso di pienezza che suscita. Non esistono zone d’ombra. Pier Giorgio balza ai nostri occhi vivido e affascinante. Colpisce la assoluta mancanza di cedimenti: un giovane che cammina sicuro sulle strade della vita, con completa fiducia nell’amore del Padre, attraverso gli entusiasmi e le sofferenze dell’età giovanile. Che con una maturità che stupisce sa essere tanto gioioso e trascinante nei momenti di letizia quanto serio e attento di fronte ai problemi del mondo e della gente, quanto nascosto e quasi furtivo nel gesto di carità.
La vita di Pier Giorgio è orientata da una intensa vita spirituale. L’eucaristia quotidiana è il centro. Per questo appuntamento si alza molto presto, rinuncia alle gite se gli impediscono di andare a messa. Fare la comunione è per lui partecipare all’intimità con Gesù; lo si vede nel banco, concentrato in un profondo raccoglimento, da cui nulla saprebbe distrarlo. Quando qualcuno gli chiederà la ragione della sua opera di carità risponderà così: “Gesù nella santa comunione mi fa visita ogni mattina. Io gliela rendo, con i miei poveri mezzi, visitando i poveri”.
La preghiera di Pier Giorgio, assidua, frequente, si esprime nei modi dell’epoca. Preferisce il rosario, sgranato per strada o camminando sui sentieri di montagna, con gli amici o inginocchiato accanto al letto. Ama regalare corone agli amici. Dopo un cammino di avvicinamento durato circa quattro anni, Pier Giorgio chiede di diventare terziario domenicano. Entra nell’Ordine dei Predicatori il 28 maggio 1922, assumendo il nome di frà Girolamo in ricordo di Savonarola. Dall’appartenenza al laicato domenicano, che aggiunge alle sue abitudini la recita quotidiana di un particolare Ufficio dedicato alla Madonna, riceve un sicuro e robusto sostegno alla vita spirituale.
La generosità, lo spendersi senza riserve, è lo stile con cui Pier Giorgio attraversa il mondo. Al punto che alcuni non si fanno problemi ad approfittarne, chiedendogli favori, raccomandazioni, referenze, denaro. E lui non nega nulla, tranne quando c’è contrasto con le sue convinzioni profonde. Farsi in quattro per gli amici, cercando gli alloggi per gli universitari di fuori Torino e spesso pagando lui gli affitti, regalando loro i libri di studio con la scusa che “li ha doppi”. Arrivare all’Ambasciata di Berlino, in un clima polare, senza cappotto perché l’ha regalato a chi non l’aveva.
Farsi fare in fretta da un’amica il corredino indispensabile per un neonato venuto alla luce in un sottoscala.
Il numero degli episodi simili a questi venuti alla luce nella messe di testimonianze raccolte è talmente grande da lasciar stupiti: tanto più al pensiero di quanti rimarranno segreti per sempre.
Gli investimenti di Pier Giorgio non sono in questo mondo: ha una banca in cielo che rende il mille per cento. Desidera far fruttare ogni minuto. Lo chiamano “lo studente che corre sempre”. E’ l’esempio di una vita vissuta in pienezza.
Gli ultimi mesi di vita di Pier Giorgio sono tormentati da una forte sofferenza interiore. Diverse sono le cose che lo angustiano. Anzitutto l’acuta tensione tra i genitori, di fronte alla quale Pier Giorgio e Luciana sono gli unici in grado di mantenere l’unità della famiglia. Quando Pier Giorgio sente crescere dentro di sé l’amore per la “fucina” Laura Hidalgo, avverte la grandezza dei problemi che ciò potrebbe suscitare in famiglia. Laura è una ragazza “di Azione Cattolica”, e questo in casa è causa di poca considerazione. Per Pier Giorgio, rampollo di famiglia prestigiosa, erede designato de “ La Stampa “, ben altra è la sposa desiderata. Si confida con Luciana. Poi prende una decisione: rinuncia al suo amore. Il lungo allenamento a mettere da parte se stesso per donarsi del tutto e senza riserve è arrivato al suo punto più alto. “Distruggere una famiglia per crearne una nuova sarebbe un assurdo e una cosa alla quale non è neanche il caso di pensare. Sarò io il sacrificato; però se Iddio vuole così, sia fatta la sua volontà”.
Nel gennaio del ‘25 Luciana sposa un diplomatico polacco e si trasferisce all’Aja. Pier Giorgio sente scivolare sulle sue spalle tutto il peso della situazione familiare. Quando, a giugno, il padre gli fa chiedere tramite un cronista di entrare a “La Stampa”, e quindi di rinunciare al sogno di lavorare da ingegnere, tra i minatori, ancora abbassa il capo e dice di sì.
“Ormai sono vicino a raccogliere ciò che ho seminato”. Così scrive a Marco Beltramo il 15 giugno. In questa frase è forse racchiuso il mistero di Pier Giorgio. La morte lo raggiunge e lo prende, rapida. In sei giorni la poliomielite fulminante stronca il suo fisico forte. Pier Giorgio si consuma in silenzio, progressivamente paralizzato nel letto, mentre la famiglia è presa dall’agonia della anziana nonna e non si accorge della gravità del suo male. Non una richiesta, non una pretesa, non una lamentela escono dalle sue labbra. Nulla per sé, anche se la morte avanza. Nessuna paura: sa di andare tra le braccia di Dio.
Con la mano semiparalizzata scrive un biglietto per i suoi assistiti della san Vincenzo; è venerdì, il suo giorno di visita: non se ne è dimenticato. Si spegne serenamente il 4 luglio, due giorni dopo la nonna, tra la disperazione dei familiari. Aveva detto ad un amico: “Il giorno della mia morte sarà il più bello della mia vita”.
L’angoscia dei familiari si tramuta subito in stupore. Quando si sparge per Torino la notizia della morte di Pier Giorgio, comincia un incredibile pellegrinaggio. Giovani, anziani, uomini, donne, benestanti, poveri, rendono visita al loro “amico”. Una fila di volti sconosciuti, di persone che amano quel giovane così buono, generoso, da cui tante volte o anche una sola hanno ricevuto una parola, un sorriso, un aiuto.
La folla che partecipa il 6 luglio ai suoi funerali è immensa. Non richiamata dal suo cognome illustre: in tanti hanno scoperto solo ora che Pier Giorgio è un Frassati. Di lui sanno ciò che hanno visto, o sentito dire: la sua umiltà, il suo donarsi, il bene profuso, la fede trasparente. In questo giorno Pier Giorgio comincia a svelarsi. Anche coloro che gli erano più vicini solo ora si accorgono di ciò che non hanno saputo vedere con chiarezza. Pian piano tutti i tasselli della sua vita vengono alla luce, e ci si rende conto che compongono un mosaico di impressionante testimonianza cristiana.