In senso teologico soltanto Dio è il bene comune di tutti gli uomini; Dio è il bene più grande e tutti gli uomini sono chiamati a partecipare della sua bontà.
Ma la morale sociale parla di bene comune in senso non assoluto; del bene comune della società, di ogni nazione e in ogni momento storico. In tal senso il bene comune costituisce il fine intrinseco della vita sociale; considereremo questa nella sua realizzazione naturale e perfetta e cioè nella forma statale: nello Stato infatti la persona umana deve trovare quella sufficientia vitae che consenta il suo integrale sviluppo. Il bene comune sociale è dunque l’insieme delle condizioni con cui una società assicura la sufficientia vitae a ciascuno dei suoi membri. Questa è l’accezione che daremo all’espressione “bene comune” qui di seguito.
La comunità politica difatti esiste proprio in funzione del bene comune, nel quale essa trova piena giustificazione e significato e dal quale ricava il principio rettore del suo ordinamento giuridico. Il bene comune consiste nel complesso delle istituzioni e delle condizioni che permettono al singolo e ai corpi sociali più piccoli di tendere allo scopo loro prefisso da Dio (sviluppo della personalità e costruzione dei settori culturali) collaborando in maniera ordinata.
Il concetto di bene comune è un concetto complesso e che può rispondere a formulazioni diverse: ma la difficoltà di coglierne tutti gli elementi che lo costituiscono non giustifica il giudizio che arbitrariamente lo condanna come astratta nebulosità. Qualche volta si parla del bene comune come di un traguardo predefinito da raggiungere. Tuttavia il bene comune è un concetto dinamico, non statico né definito a priori. Nella determinazione del bene comune di una società intervengono sia gli aspetti permanenti della natura umana come la situazione storica, culturale, politica e economica di ogni società.
Oggi il contenuto del bene comune può essere identificato con i diritti dell’uomo. Una società tende al bene comune nella misura in cui rispetta i diritti di ogni persona e di ogni gruppo.
1.1 LE DEFINIZIONI DEL MAGISTERO
«Tutta l’attività dello Stato, politica, economica, serve per l’attuazione duratura del bene comune: cioè di quelle esterne condizioni le quali sono necessarie all’insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale, religiosa» (Pio XII, Messaggio natalizio del 1942).
È J. Maritain a sottolineare che il bene comune s’identifica non solo con le condizioni materiali di una società ma include i beni spirituali, «non è soltanto un insieme di vantaggi e di utilità, ma rettitudine di vita, fine buono in sé; ciò che gli antichi chiamavano bonum honestum, bene onesto» (J. Maritain, La persona e il bene comune, Brescia, 1995, 32). Per Maritain il bene comune ha una dimensione teologale al di là dei contenuti materiali.
CCC, 1905: «In conformità alla natura sociale dell’uomo, il bene di ciascuno è necessariamente in rapporto con il bene comune. Questo non può essere definito che in relazione alla persona umana: “Non vivete isolati, ripiegandovi su voi stessi, come se già foste confermati nella giustizia; invece riunitevi insieme, per ricercare ciò che giova al bene di tutti” (Lettera di Barnaba, 4, 10) ».
CCC, 1906: «Per bene comune si deve intendere “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (GS, 26; cf. ibid., 74) ».
2. BENE COMUNE E BENE INDIVIDUALE.
2.1 La persona umana.
Al fine di meglio conoscere il contenuto di quelle condizioni sociali che costituiscono il bene comune e che sono indispensabili per un adeguato sviluppo della persona umana nella società, dobbiamo riportare il nostro esame sulla persona umana. La nozione di bene comune sociale rimanda all’antropologia: solo un umanesimo integrale è in grado di pervenire ad una formulazione pienamente soddisfacente. Ogni riduzionismo antropologico difatti offusca la nozione di bene comune.
Per il liberalismo il bene comune è il risultato della somma dei beni individuali.
Per il socialismo il bene comune sociale è l’unica realtà storica e assorbe quasi completamente l’individualità.
Ma formulazioni equivoche sono state sostenute talora anche da studiosi cattolici, che al fine di combattere la concezione individualistica della società, hanno parlato di «unità quasi sostanziale» del genere umano (M. Scheeben), di comunità sociale come «essere di natura sostanziale» (D. von Hildebrand), o peggio di sociale come un «essere sostantivo», come una «sostanza completa» (R. Kaibach).
2.2 La sociologia storicista sturziana a l’astrattismo sociologico.
Prima di affrontare la problematica relativa ai rapporti tra bene comune e bene individuale occorre fare alcune precisazioni che riprendiamo da un’opera capitale di L. Sturzo: La società. Sua natura e leggi. Sturzo nel suo sforzo di elaborare una sociologia storicista mette in guardia contro i pericoli dell’astrattismo.
«Si domanda se venga prima l’individuo e poi la società, prima la coscienza individuale e poi la collettiva. Se con il prima e il poi si vuole indicare un ordine temporale, la risposta sarà negativa: se si vuole indicare un ordine logico, in una casualità coesistente, la risposta sarà che prima è l’individuo e poi la società. Ma bisogna non farsi deviare dalle formule astratte. La società è in concreto nell’individuo per il fatto stesso che non può darsi individuo fuori della società» (L. Sturzo, La società. Sua natura e leggi, Bergamo, 1949, p. 33).
E ancora: «Tanto la sociologia positivista, quanto quella che chiamiamo metafisica, nell’attribuire alla società… un’entità e un valore a sé stante, fanno dell’astrattismo: cioè deducono o dalla realtà biopsichica degli individui o da quella storica di essi, la esistenza di un principio extra e super individuale, a carattere monistico. Secondo noi la base del fatto sociale è da ricercarsi solo nell’individuo umano preso nella sua concretezza e complessità e nella sua originaria irrisolvibilità. La società non è un’entità o un organismo fuori o sopra l’individuo, né l’individuo è una realtà fuori o sopra la società. L’uomo è insieme individuale e sociale… Egli è talmente individuale da non partecipare a nessun’altra vita che la sua, sì da essere personalità incomunicabile; ed è talmente sociale che non potrebbe esistere né svolgere qualsiasi facoltà né la sua stessa vita al di fuori delle forme sociali. L’individualità, presa in sé come distinta e opposta alla società, è un’astrazione logica per trovare gli elementi costitutivi e fondamentali dell’individuo; e per la stessa ragione è un’astrazione logica la società presa in sé come distinta e opposta alla individualità. È evidente che in concreto non si danno né individui fuori della società né società senza individui: in concreto si danno solo individui in società. Il principio associativo è interiore nell’individuo ed è completivo della sua realtà individuale. Non esiste principio associativo extra-individuale e quindi extra-umano, per sé stante, che di sé informi la società» (ivi, pp. 5-6)
L’idea stessa di uomo “a-sociale” è per Sturzo inconcepibile. È chiaro che da questo punto di vista il bene comune deve sorgere dalla persona come “socius”. Esso è la risultante di un processo continuo che va dall’individuo alla società e da questa all’individuo, processo che Sturzo chiama risoluzione del sociale nell’individuale e che tende alla conoscenza della verità e all’unificazione (amore) secondo un movimento di trascendenza progressivo che ha come orizzonte ultimo Dio. Le attività che usano della menzogna e dell’egoismo, sono quindi antisociali.
Anche quando «si abbelliscono con i nomi significativi di bene della famiglia, dello stato, della chiesa, o sotto le insegne di libertà, autorità, moralità, diritto, operano una falsificazione. La vita personale e sociale di ciascuno di noi ne soffrirebbe, perché sarebbe impedita la partecipazione dell’individuo ai valori sociali e la partecipazione della società ai valori individuali, venendo a mancare le continue risoluzioni necessarie alla pienezza della vita sociale» (ivi, pp. 328-329).
2.3 Tre principi per il discernimento.
Fatti questi opportuni chiarimenti, di fronte a formulazioni equivoche, derivanti da antropologie riduzioniste, e a difesa della dignità della persona umana occorre stabilire tre principi:
2.3.1 Primato ontologico della persona umana.
Solo la persona umana è una sostanza, mentre la società è soltanto un’unità relazionale e ordinata (relatio realis). La società non esiste al di fuori dei singoli uomini e indipendentemente da essi. La persona è prima di tutto nella sua essenza metafisica “Singolarità”, cioè unità rigorosamente indivisa in sé e parallelamente divisa da ogni altra creatura; sotto questo punto di vista è subordinata unicamente al Creatore e destinata in modo primario al fine ultimo personale: ogni persona cioè è stata creata per sé stessa e tende alla conoscenza e al rapporto con Dio in modo personale. La persona individuale è trascendente a qualsiasi realtà sociale. Se la finalità propria della società è il bene della comunità, ciò è possibile soltanto cercando il bene di ognuno dei membri.
Il bene comune sociale non possiede alcuna preminenza nei confronti dei beni dell’ordine soprannaturale: «La salvezza soprannaturale di un unico individuo è più preziosa del bene naturale di tutto l’universo” (S. Tommaso d’Aquino, S. Theologica, I-II, 11 3, 9).
Secondo Maritain «la persona umana è ordinata direttamente a Dio come al suo fine ultimo assoluto, e questa ordinazione diretta a Dio trascende ogni bene comune creato, bene comune della società politica e bene comune intrinseco dell’universo; ecco la verità fondamentale che guida tutta la discussione [sul rapporto tra individuo e società], e dove è impegnato nientemeno che il messaggio stesso della sapienza cristiana nella sua vittoria sul pensiero ellenico e su ogni sapienza pagana d’allora in poi spodestata» (J. Maritain, La persona e il bene comune, cit., 10).
2.3.2 Subordinazione dell’individuo al bene comune in quanto socius e pars.
Ma la persona storicamente nasce, vive e si perfeziona in comunione con gli altri uomini. La persona umana è anche “socialità”, animal sociale et politicum. In conformità con la natura sociale dell’uomo, il bene comune di ciascuno è necessariamente in rapporto con il bene comune.
Si discute molto della superiorità del bene comune sul bene individuale, e questa discussione è alle volte appassionata perché ha conseguenze su molte questioni pratiche, a cominciare dalla politica fiscale ed economica di ogni paese. Se più in generale consideriamo la comunità politica nella sua realizzazione naturale e perfetta e cioè nella forma statale, è vero che lo Stato è per la persona umana e il bene comune è per il bene dei singoli, ma per altro verso non è men vero che anche la persona umana è in qualche modo per lo Stato e il bene dei singoli per il bene comune.
Anche lo Stato, infatti, sebbene è mezzo a aiutare gli individui, non già fine, per sé inteso dal Creatore, pur in questa sua essenziale medialità ha una sua personalità, ha i suoi particolari interessi, ai quali gli interessi della persona vanno in qualche modo subordinati: «Bonum commune est finis singularium personarum in communitate existentium» (S. Tommaso d’Aquino, S. Theologica, II-II, q. 47, a. 10).
Da quanto detto appare che lo Stato da una parte sia mezzo, dall’altra sia il fine; le due tesi sembrerebbero antitetiche, e, come si è notato, più di un sistema filosofico ha risolto l’antinomia con un taglio netto a favore dell’uno o dell’altro termine, lo statalismo sacrifica l’individuo allo Stato; il liberalismo individualistico sacrifica lo Stato all’individuo. In realtà i due termini in questioni sono necessari e in necessario rapporto di correlatività, in modo tale che l’uno sia nel molteplice, e il molteplice in qualche modo nell’uno: «Sicut pars et totum quodammodo sunt idem, ita quod est totius, quodammodo est partis» (ivi, II-II, q. 61, a. 1,ad 2).
La discussione di cui si tratta è dunque spesso confusa perché manca dei prerequisiti metodologici e di cognizioni chiare in merito. Innanzitutto occorre distinguere i diversi tipi e categorie di beni che sono in gioco, e stabilire se si vuol parlare di superiorità quantitativa o qualitativa, perché la superiorità del bene comune sul bene privato non è indipendente dal tipo di bene di cui si parla.
Come afferma San Tommaso «quando si tratta dello stesso tipo di bene per l’uomo e per la società, non c’è dubbio della superiorità del bene comune, ma può accadere che un tipo di bene privato sia più degno del bene comune di tutti» (ivi, II-II, q. 152, a. 4, ad 3).
In un commento al testo di S. Tommaso, J. Maritain scrive che la persona individuale «sta in rapporto con la comunità intera come la parte sta al tutto (quaelibet persona singularis comparatur ad totam communitatem sicut pars ad totum, cfr. S. Tommaso d’Aquino S. Th. II-II, q. 64, a. 2). Da questo punto di vista e sotto questo rapporto, cioè secondo che in virtù di certe condizioni essa è parte della società, la persona s’impegna interamente e si subordina interamente al bene comune. Ma, aggiungiamo subito, se l’uomo è impegnato per intero come parte della società politica (poiché egli può trovarsi a dover dare la sua vita per la società), tuttavia egli non è parte della società politica in virtù di sé stesso e di tutto ciò che è in lui. Al contrario, in virtù di certe cose che sono in lui, l’uomo si eleva tutto al di sopra della società politica. Qui viene la seconda asserzione, che completa ed equilibrala prima: “L’uomo non è subordinato alla società politica secondo sé stesso per intero e secondo tutto ciò che è in lui (Homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua, cfr. S. Tommaso d’Aquino S.Th. I-II, 21, 4, ad 3)» (J. Maritain, diritti dell’uomo e la legge naturale, Milano 1950, p. 79).
2.3.3 Differenza qualitativa e non quantitativa tra bene comune e bene individuale.
La socialità mira in ultima analisi a perfezionare la personalità. La società serve alla fin fine alla persona , perché «solo l’essere spirituale è voluto per sé stesso nel piano dell’universo, mentre tutto il resto esiste in funzione sua» (S. Tommaso d’Aquino, In Eth. Nic., !, 1).
«Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo e non viceversa» (Divini Redemptoris, 29).
Ciononostante possiamo dire che la società persegue in certo senso anche un fine suo proprio. Ciò in quanto la differenza tra bene comune e bene individuale non è solo quantitativa, ma qualitativa; «Bonum commune civitatis et bonum singulare unius personae non differunt solum secundum multum et paucum,sed secundum formalem differentiam. Alia enim est ratio boni communi et boni singularis, sicut alia est ratio totius et partis. Et ideo Philosophus dicit: non bene dicunt qui dicunt civitatem et domum differre solum multitudine et paucitate et non specie» (S. Tommaso d’Aquino S. Th., II-II, q. 58. a. 7, ad 2).
La società persegue un bene che non è semplicemente la somma dei beni individuali. Tra bene individuale e bene comune non c’è soltanto differenza quantitativa. Il bene comune è un bene che perfeziona i membri della società in aspetti che sarebbero irraggiungibili in modo privato. In questo senso hanno torto coloro che hanno proposto una società basata sull’individuo e un bene comune costituito soltanto dalla somma dei beni individuali (individualismo). Tuttavia, lo ripetiamo, il bene comune non è superiore alle persone (e in questo ha torto il collettivismo).
Ciò che è inferiore al bene comune sono i beni privati, non le persone. Il primato del bene comune non si oppone al fatto che la società sia per l’uomo e non l’uomo per la società. La società è in virtù dell’uomo, ma è necessariamente per l’uomo in modo tale da costituire un bene per tutti gli uomini.
La nozione di bene comune non esige che l’uomo sia subordinato alla società, ma che i beni individuali siano subordinati al bene di tutti.
3. GLI ELEMENTI ESSENZIALI DEL BENE COMUNE
«Il bene comune interessa la vita di tutti. Esige la prudenza da parte di ciascuno e più ancora da parte di coloro che esercitano l’ufficio dell’autorità» (CCC 1906).
Esso comporta tre elementi essenziali: «In primo luogo, esso presuppone il rispetto della persona in quanto tale. In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana, La società ha il dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione. In particolare, il bene comune consiste nelle condizioni d’esercizio delle libertà naturali che sono indispensabili al pieno sviluppo della vocazione umana: tali il diritto “alla possibilità di agire secondo il retto dettato della propria coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso” (GS, 26)”» (CCC 1097).
«In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo stesso. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali. Certo, spetta all’autorità farsi arbitra, in nome del bene comune, fra i diversi interessi particolari. Essa però deve rendere accessibile a ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana: vitto, vestito, salute, educazione e cultura, informazione conveniente, diritto a fondare una famiglia, ecc. (cfr. ibidem)» (CCC 1908).
«Il bene comune implica infine la pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto. Suppone quindi che l’autorità garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei membri. Esso fonda il diritto alla legittima difesa personale e collettiva» (CCC 1909).
3.1 Il Bene comune e i diritti umani.
Da quanto detto e come abbiamo anticipato nella premessa, oggi il contenuto del bene comune può essere identificato con i diritti dell’uomo. Una società tende al bene comune nella misura in cui rispetta i diritti di ogni persona e di ogni gruppo. Senza soffermarci sui diritti umani in particolare, sulla diversità e gradualità entro cui sono gerarchicamente ordinati, sulla distinzione tra diritti primari e secondari, occorre affrontare una questione preliminare e tuttavia della massima importanza: la discussione sull’origine e proprietà dei diritti umani.
Rispettare la dignità della persona significa riconoscere, difendere e promuovere alcuni diritti universali, inviolabili e inalienabili. Si usa correntemente l’espressione “diritti umani” per indicare tutti i diritti e le libertà fondamentali della persona. Per diritti umani si intendono quei bisogni essenziali della persona, che devono essere soddisfatti perché la persona possa realizzarsi dignitosamente nella sua integrità delle sue componenti materiali e spirituali.
3.2 I diritti naturali.
In ragione della loro essenzialità, la legge riconosce questi bisogni come diritti fondamentali e fa obbligo sia alle pubbliche istituzioni – a cominciare da quelle dello Stato – sia agli stessi titolari dei diritti di rispettarli. Questi diritti hanno bisogno di essere precisati e garantiti all’ordinamento giuridico. Nell’attuale situazione la comunità politica parla di diritti umani per riferirsi a quei diritti della persona che devono essere rispettati e difesi anche dalle leggi della società, non per una sorta di concessione gratuita degli uomini, bensì perché sono diritti anteriori alla volontà dei latori stessi. I diritti umani costituiscono una realtà ontologica preesistente alla legge scritta.
La dignità della persona umana è il fondamento e l’origine dei diritti dell’uomo. La scuola giusnaturalista dei diritti dell’uomo sostiene che i diritti non hanno origine nella volontà umana né nei costumi di una società o nel consenso, ma in principi oggettivi, fondati e sistematici. Per il giusnaturalismo i diritti umani non sono “creati” o “attribuiti” dal diritto positivo, che solo “riconosce” i diritti naturali. La legge non “fonda” i diritti umani. Il diritto non nasce esclusivamente dalla volontà umana o dai costumi né lo Stato crea i diritti dell’uomo. I diritti umani sono anteriori allo Stato e alla legislazione civile, propri della natura umana, e originati nella volontà creatrice di Dio. I diritti umani attengono per così dire al patrimonio genetico della persona, di ogni persona, non ne sono un accessorio che oggi o domani può non esserci.
3.3 Universalità. Inviolabilità e inalienabilità dei diritti naturali.
Le caratteristiche fondamentali dei diritti umani sono l’universalità (sono uguali per tutti gli uomini), l’inviolabilità (ogni violazione è un’ingiustizia), e l’inalienabilità (nessuna autorità umana può togliere questi diritti agli uomini, sebbene non in tutti i casi sono effettivamente e immediatamente praticabili). L’impossibilità pratica di rispettare o di soddisfare alcuni diritti non sottrae all’insieme dei diritti il carattere di autentica meta morale. Se i diritti fondamentali esistessero solo nella misura in cui i poteri fossero disposti a riconoscerli, essi non avrebbero altro fondamento che il potere.
Fino al declino del comunismo, lo scontro a livello teoretico sui fondamenti dei diritti umani avveniva tra la cultura di estrazione liberale democratica e quella di estrazione marxista. Oggi il dibattito si è spostato a una discussione fra la corrente democratica relativista, che considera la democrazia un sistema di regole atte a ricomporre pragmaticamente il pluralismo dei valori espressi dai vari gruppi sociali e politici, altrimenti irriducibilmente conflittuali, e la corrente democratica di ispirazione cristiana, che considera la democrazia un sistema di regole fondato sugli universali e inalienabili valori iscritti nella natura umana. Su questo fronte l’azione pastorale di Giovanni Paolo II è stata crescente. Le encicliche Centesimus annus, Veritatis splendor, Evangelium vitae, possono essere considerate una difesa dei diritti umani dal punto di vista della Chiesa cattolica. Queste encicliche denunciano i pericoli di una società relativista e propongono le verità a cui non si può rinunciare nella costruzione della società se non si vuole cadere nel rischio della legge del più forte. Sono proprio i più bisognosi di protezione coloro che non sono protetti dalla legge della semplice maggioranza.
Giacomo. Belvedere