Facciamo una zoomata veloce sul brano di Bartimeo (Marco 10, 46-52). È l’icona che segna l’inizio del nostro cammino associativo del 2011-2012, nella quale siamo chiamati a cogliere il prodigio di una profetica «trasfigurazione» sul modello di quella già narrata nel c. 9, 2-10, che si conclude con l’invito a «non raccontare» l’accaduto «se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti». Come dire che l’esperienza di Bartimeo è quasi l’incredibile anticipazione della possibile «risurrezione» di ogni uomo.
Il v. 52 pone in primissimo piano, infatti, l’icona «risorta e vincente» dell’ex cieco drammaticamente azzoppato nel corpo e nell’anima da una storia esistenziale di profonda depressione, schiacciato nel suo «io» deluso e mortificato, e ormai ripiegato su un inconscio di rabbia repressa, che non trova quasi più la forza di gridare. Questo primo piano ci svela un uomo improvvisamente e quasi inopinatamente restituito alle sue speranze, alle sue attese, alle sue ambizioni, che lascia esplodere finalmente quella «voglia rabbiosa» di vivere e riconquistare le potenzialità del suo futuro negato. Malinconicamente avvolto nel grigio «mantello» della sua condizione disperata sembrava ormai tagliato fuori dai suoni e dai rumori di una vita che scorreva senza più coinvolgerlo, che non lo interpellava più, che addirittura lo escludeva crudelmente.
Improvvisamente scopre di potere e dovere ribellarsi a tanta infame rassegnazione, di dover lottare per rivendicare quel futuro. Da qui la decisione di «non tacere più». «Voglio vederci», grida con forza all’indirizzo del Rabbi che passa. Una improvvisa decisione che pretende di unirsi agli altri sulla strada della vita e intraprendere finalmente il passo della «sequela». Riemerge come rigetto dalla frustrazione di una «mendicità» che sembrava averlo tagliato fuori da qualsiasi relazione significativa con gli altri e col mondo circostante. Tutti gli passavano accanto scansandolo e «sgridandolo» per l’ardire di osare disturbare il «loro» maestro che passava da lì per caso. E non sapevano che invece quel maestro era lì proprio per lui! Il suo grido ripetuto, crescente, reiterato, quasi sgarbato, si leva finalmente nonostante il tentativo degli altri «amici» di farlo tacere.
Basta tacere, dice a se stesso, basta farsi cacciare ai bordi della strada come un cumulo di stracci a cui tutti credono di poter dare un calcio o voltare le spalle. Grida forte, sempre più forte invocandolo col titolo di Messia-Figlio di Dio: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me». Come dire: anch’io ho diritto di vivere, di vedere, di essere ascoltato, di camminare con te, di stare con gli altri sulla strada, che porta a Gerusalemme. E quando il Maestro, che è lì per lui, per lui innanzitutto, nonostante gli altri, ordina alla folla di fermarsi, allora la sua rabbia diventa una invocazione amorosa. Alla domanda del Rabbi Nazareno: «Che vuoi che io faccia per te» segue una domanda dal tono improvvisamente affettuoso e confidenziale: «Rabbuni», maestro mio!» Cosa voglio? hai il coraggio di chiedermi» – sembra dire il mendicante. Cosa può volere un povero cieco e pezzente come me, da sempre scordato dalla storia, cacciato all’angolo fetido di una vita senza futuro, sempre più affogato in un mantello di miseria senza scampo? Cosa voglio?! E cosa posso volere se non il diritto a «partecipare» alla festa della vita, al banchetto della storia. Voglio «Riavere la vista!». E tu so lai benissimo, e sei venuto fin qui per dirmelo di persona e farmene dono. L’ho capito perfettamente, quando mi hai fatto chiamare. Perché anche quelli come me, i disperati della vita, i relegati nei sotterranei della storia, hanno diritto prima degli altri di incontrarti. Anche per loro, per noi è tempo di riemergere e riaffacciarsi alla vita per incontrare il volto «amico» di un «salvatore» che vuole restituire a ciascuno quanto il suo cuore forse non osava più sperare. Questi i sentimenti di Bartimeo, che trova una «fede» che finalmente si fa salvezza e lo scioglie dalle antiche catene di una non-senso che troppo a lungo ha paralizzato la sua vita sventurata. «Balzò in piedi e, gettato via il mantello, prese a seguirlo per la strada». Adesso lo zoom immaginario si riapre sul paesaggio del mondo, che il cieco Bartimeo non aveva mai potuto contemplare, si allarga sulla scena di una compagnia di uomini che inizialmente non ha trovato la forza di accoglierlo e di aiutarlo a sperare, ma che adesso sono i suoi «compagni d’avventura». Bartimeo ha saputo finalmente gridare, imporsi, affrontare a muso duro la situazione e i suoi imbarazzati per svegliare quei discepoli dal sonno della loro titubanza e accompagnarsi a loro «decisamente» verso Gerusalemme. Là, oltre il Golgotha che si affaccia sull’orto del Getsemani, la pietra che sembrava destinata a sigillare per sempre i sogni del cuore umano, sarà per sempre ribaltata. Il cieco Bartimeo, l’ha capito perfettamente prima e più di tutti gli altri. «Coraggio, alzati. La tua fede ti ha salvato».
don Gianni Zavattieri