Per narrare la vita di Giovanni Paolo II ma anche per narrare la sua santità si fa spesso ricorso alle manifestazioni in cui lui è presente in mezzo alle folle, in mezzo alle acclamazioni, nelle celebrazioni delle giornate mondiali della gioventù… ma credetemi la santità non è in questo o meglio la santità non è questo. Non è, lasciatemelo dire, questo rumore, queste folle, questo tripudio che lo circonda. La santità sta in ciò da cui questa forza di testimonianza e di annunzio viene fuori. Allora la domanda che ci dobbiamo porre è: da dove gli veniva quella forza per annunziare la speranza, per gridare al mondo l’ottimismo, la fiducia, la gioia, nonostante tutto, nonostante le guerre, gli odi, le violenze, nonostante i muri che gli uomini creano per dividersi. Ecco, noi sappiamo che quello che vediamo all’esterno è il frutto, la manifestazione, l’espressione, ma la santità di Giovanni Paolo II, come di ognuno, è nel segreto, non si vede, o meglio si vede da ciò che produce.
La santità di Giovanni Paolo II è nel suo essersi radicato profondamente in Cristo Gesù, radice viva della sua vita, che è la fonte limpida della sua anima, che è la forza della sua parola. La sua santità è coltivata nel silenzio, in quell’appoggiarsi misterioso alla croce di Cristo, che poi porta al mondo, in quel vivere veramente il Signore come realtà profonda della sua esperienza, della sua forza e del suo coraggio, in quel poter dire: “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Allora capiamo da dove lui attingeva la forza, non soltanto quando si poteva presentare al mondo con la potenza della sua parola, del suo messaggio, con la robustezza della sua voce, della sua comunicazione, ma anche quando aveva il coraggio di presentarsi al mondo, agli altri, con la debolezza della sua vita, con la fragilità del suo corpo, con il limite della sua vecchiaia, della sua stanchezza, della sua incapacità di parlare… Forse tanti abbiamo detto o abbiamo pensato: perché non si ritira, perché non si tutela, invece di presentarsi in pubblico. Voi lo ricordate quanto a volte erano impietose le immagini che lo ritraevano nella sua decadenza, nella sua debolezza, nella sua fragilità. Ebbene, la sua santità era in quell’essere completamente appoggiato alla croce. Quel Venerdì santo, che tutti ci ricordiamo, egli mostrava al mondo, finalmente in maniera chiara, in maniera inequivocabile, che mentre portava Cristo al mondo, voleva soltanto gridare al mondo, e dunque a noi, che era Cristo che lo portava, che era Cristo che lo reggeva, che lo sosteneva, che gli dava forza, che gli dava coraggio.
Ecco allora perché poteva gridare: “spalancate le porte a Cristo”. Ma il vero senso era: spalancate le porte a Cristo, perché prima Cristo le ha spalancate a voi, agli uomini, ai loro peccati, alle loro debolezze, alle loro fragilità, al loro limite, alla loro caducità. Perché niente noi potremmo fare e vivere se prima non l’abbiamo ricevuto, accolto e custodito da parte di Dio. Perché questa è la logica di Dio: donarci prima, donarci in anticipo, donarci con una misura ancora più abbondante ciò che poi ci chiede di ridare. Infatti, quello che Egli ci chiede di donare agli altri, altro non è se non quello che ci ha donato prima. Ci chiede di dire e di dare quello che ci ha detto e ci ha dato.
Fratelli e sorelle l’esortazione che vi rivolgo è a non lasciarci disorientare da quello che è soltanto l’espressione della santità. Ma la santità non sta in questo e non si vede, perché la santità è la radice di tutto questo. Quando voi vedete un grande albero rigoglioso, maestoso, non dimenticate che la linfa e la bellezza di quell’albero sta nelle sue radici che non si vedono, come la solidità di una casa sta nelle fondamenta che non si vedono. Ma poi si vede se un albero ha le radici e se una casa ha le fondamenta, semplicemente quando la tempesta, l’uragano della vita, si abbatte su quella casa e su quell’albero. Se ci sono le radici, la tempesta non lo può spazzare via. Per questo Agostino ci ricorda: quando la tempesta della vita si è abbattuta sulla tua esperienza, solo ciò che resta è autentico. Per questo quando su Giovanni Paolo II si è abbattuta la tempesta della vita, del dolore, dell’attentato, della vecchiaia, di lui ci resta quel segreto dialogo che ha stabilito con Cristo nell’intimità più profonda. Perché Cristo per lui non era una parola, era la presenza, era l’alimento era il fondamento era la radice della sua vita. Ed è questo il messaggio che anche questa sera ci ha lanciato: non dobbiamo aver paura di Cristo, perché solo Cristo non ci fa aver paura di tutto quello che ci fa paura.
Omelia di S.E. mons. Calogero Peri, in occasione della Veglia di preghiera in preparazione alla Beatificazione di Giovanni Paolo II (Cattedrale, 30 aprile 2011)