Tutto è compiuto! Un velo di silenzio sembra scendere sulla vicenda Gesù. Il profeta nazareno che per tre anni aveva creato scompiglio nella rigida, quanto arida, religiosità ebraica, avvolto in un lenzuolo offerto da una mano amica, giace in un freddo sepolcro; i capi del popolo possono tornare nelle loro case per celebrare la Pasqua; Pilato può scrivere la parola fine sul caso, soddisfatto per aver accontentato la rumorosa plebe ebraica e aver salvato il potere di Roma.
E’ sabato. Ma non per tutti è un sabato “normale”.
Non lo è per i discepoli che in questo giorno – che sta tra il dolore della croce e la gioia della Pasqua – avendo letto nelle immagini terribili della crocifissione la fine dei loro sogni messianici, sperimentano il silenzio di Dio, la pesantezza della sua apparente sconfitta, la dispersione dovuta all’assenza del Maestro.
Non lo è per Maria che in questo sabato veglia nell’attesa, custodendo la certezza della promessa di Dio e la speranza nella potenza che risuscita i morti: «…il vento del Golgota ha spento tutte le lampade, ma ha lasciato accesa la sua lucerna.[…] Per tutta la durata del sabato Maria resta l’unico punto luce in cui si concentrano gli incendi del passato e i roghi del futuro» (T.Bello).
Di fronte a questo sabato c’è il silenzio dei credenti che attraverso la porta del sabato santo entrano nella gioia della Pasqua: nel silenzio dei discepoli riconoscono il disorientamento, le nostalgie, le paure che segnano la vita di chi crede; e nel silenzio di Maria leggono le attese, le speranze, la fede vissuta come continuo passaggio verso il Mistero.
1. Lo smarrimento dei discepoli
Sono smarriti, i discepoli: il loro Signore e Maestro è stato ucciso, il suo appello alla conversione non è stato ascoltato, le autorità lo hanno condannato e non si vede via di scampo o senso positivo da dare all’accaduto.
Le anticipazioni che ne avevano avuto (gli annunci della Passione), i gesti rassicuranti che li avevano sostenuti (i miracoli, l’amore mostrato nell’ultima Cena) sono svaniti dalla memoria. L’impressione che Dio sia divenuto muto, che non parli, abita la loro vita. Insieme alla vergogna per essere fuggiti e per aver rinnegato il Signore: si sentono traditori, incapaci di far fronte al presente. Manca ogni prospettiva di futuro: non vedono vie d’uscita dalla sensazione di catastrofe e di crollo delle illusioni; non s’intravvedono ancora quei segni che incominceranno a scuoterli a partire dal mattino della domenica (come le donne al sepolcro vuoto, cf Lc 24,22-23).
Sembra di poter riconoscere nelle loro le nostre inquietudini di credenti, soprattutto di quanti, specie nella società occidentale, si sentono smarriti di fronte ai cosiddetti segni della “sconfitta di Dio”. In questo senso, il nostro tempo potrebbe essere letto come un “sabato santo della storia”, caratterizzato come è da una sorta di vuoto della memoria, dalla frammentazione del presente, da carenza di immagine del futuro.
2. Il Sabato santo di Maria
Nel Venerdì santo, dopo la morte di Gesù, il discepolo Giovanni «prese Maria con sé» (Gv 19,27), nel suo cuore e nella sua casa. Maria è rimasta in silenzio ai piedi della croce nell’immenso dolore per la morte del Figlio e resta nel silenzio dell’attesa, senza perdere la fede nel Dio della vita, mentre il corpo del Crocifisso giace nel sepolcro. In questo tempo che sta tra l’oscurità più fitta – «si fece buio su tutta la terra» (Mc 15,33) – e l’aurora del giorno di Pasqua – «di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato… al levar del sole» (Mc 16,2) – Maria rivive le grandi coordinate della sua vita, quelle che risplendono sin dalla scena dell’Annunciazione e caratterizzano il suo pellegrinaggio nella fede.
Meditava sul piano di Dio a Lei comunicato dalle parole dell’angelo Gabriele che riassumeva il destino del figlio di Davide («Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo… il suo regno non avrà fine», Lc 1,32-33); ricordava, riflettendo, i gesti salvifici: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
Nella sua vita, Maria, ha imparato ad attendere e a sperare. Ha atteso con fiducia la nascita del Figlio proclamata dall’angelo, ha perseverato nel credere alla parola di Gabriele anche nei tempi lunghi in cui nulla sembrava accadere, ha sperato contro ogni speranza sotto alla croce e fino al sepolcro. Ora vive il Sabato santo infondendo speranza ai discepoli smarriti e delusi.
Pur nel buio di quel giorno, non cessa di amare Dio nonostante la sua apparente assenza, ed in Lui non si stanca di amare i discepoli, custodendoli nel silenzio dell’attesa.
3. Verso l’ottavo giorno, nel sabato del tempo
Come nell’immagine dei discepoli spaventati e tristi possiamo riconoscere la realtà delle nostre paure, delle resistenze che avvertiamo in noi e attorno a noi, così l’atteggiamento di Maria può aiutarci a comprendere che il tempo – anche il nostro tempo – è come un unico, grande “sabato”, in cui viviamo fra il “già” della prima venuta del Signore e il “non ancora” del suo ritorno, come pellegrini verso l’ “ottavo giorno”, la domenica senza tramonto che lui stesso verrà a dischiudere alla fine dei tempi.
Maria diventa così «segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in marcia, fino a quando vedrà il giorno del Signore» (Lumen gentium, 68).
Lo sguardo di fede sul passato
I discepoli del sabato santo portano in sé la memoria di quanto hanno vissuto col Maestro; il loro è un ricordo carico di nostalgia e fonte di tristezza, perché quanto avevano sperato e atteso con lui e per lui appare irrimediabilmente perduto.
Maria vive, invece, la memoria quale luogo di profezia: ricorda per sperare, rivisita il passato per aprirsi al futuro, nella certezza che Dio è fedele alle sue promesse e quanto ha operato in lei per la nascita del Figlio, lo opererà analogamente per la rinascita di lui e dei suoi fratelli dalla morte alla vita senza tramonto.
La speranza che apre al futuro
Il sabato santo è vissuto dai discepoli nella paura e nel timore del peggio; il futuro sembra riservare loro sconfitte e umiliazioni crescenti. Maria, nel suo immenso dolore, vive un’attesa fiduciosa e paziente; ella sa che le promesse di Dio si avvereranno. Nel sabato del tempo che stiamo vivendo, anche i credenti sono chiamati a riscoprire l’importanza dell’attesa: l’assenza di speranza è la malattia mortale delle coscienze in quest’epoca segnata dalla fine dei sogni suscitati dalle ideologie e delle aspirazioni legate ad esse.
All’indifferenza e alla frustrazione, alla concentrazione sul puro godimento dell’attimo presente, senza attese di futuro, può opporsi come antidoto soltanto la speranza. Non quella fondata su calcoli, previsioni e statistiche, ma la speranza che ha il suo unico fondamento nella promessa di Dio.
La carità che anima il presente
Il Sabato santo è per i discepoli l’esperienza di un presente gravido di tensioni ed essi lo vivono avvertendo soprattutto la grande solitudine in cui li ha lasciati la morte di Gesù.
Maria riesce a custodire, insieme alla memoria, l’amore vicendevole, per viverlo nel presente. Sta con i discepoli, li conforta, li rimette insieme, li incoraggia facendo loro gustare i frutti della “consolazione della vita” che genera comunione; nel tempo del silenzio di Dio e dell’apparente sconfitta dell’Amore crocifisso, Maria è elemento di coesione, testimone di amore e di prossimità operosa: nel Cenacolo si dispone, già piena di Spirito santo, a ricevere con i discepoli il dono del nuovo inizio reso possibile dalla risurrezione di Gesù.
L’esempio di Maria può aiutare a vincere la tentazione dell’angoscia per giocare la propria vita con slancio e fiducia davanti all’Eterno.
4. Dove siamo? Dove andiamo?
Pellegrini nel sabato del tempo, incamminati verso l’ottavo giorno. non possiamo fermarci al buio del Venerdì santo, in una sorta di “cristianesimo senza redenzione”; non possiamo neanche affrettare la piena rivelazione della vittoria di Pasqua in noi, che si compirà nel secondo avvento del Figlio dell’uomo.
Possiamo però vivere come pellegrini nella notte rischiarata dalla speranza della fede e riscaldata dall’autenticità dell’amore. Allora, il sabato del tempo apparirà ai nostri occhi come già segnato dai colori dell’alba promessa, e la pallida luce dei giorni che passano si illuminerà dei primi raggi del giorno che non passa, l’ottavo e l’ultimo, il primo della vita eterna di tutti i risorti nel Risorto.
E nel “frattempo” invochiamo Maria….
«Madre dolcissima, prepara anche noi all’ appuntamento con Lui. Destaci l’impazienza del suo domenicale ritorno. Adornaci di vesti nuziali. Per ingannare il tempo, mettiti accanto a noi e facciamo le prove dei canti. Perché qui le ore non passano mai» (T.Bello).
don Antonio Mastantuono, assistente nazionale Mieac