I circoli giovanili di AC calatini, dopo la straordinaria stagione dei primi anni, soprattutto grazie all’impulso dato da L. Sturzo con la fondazione nel 1895 del Comitato interparrocchiale di S. Giorgio, nei primi decenni del Novecento avevano progressivamente perso smalto e vigore. A Caltagirone, solo il circolo “Don Bosco”, animato, nel rinnovato istituto di Sant’Agostino, dai Salesiani chiamati nel 1909 dal vescovo di Caltagirone Mons. De Bono, manteneva una certa vitalità, costituendo per tanti giovani una scuola di formazione cristiana e civile. In quegli anni, l’animatore e la guida spirituale di tanti giovani calatini fu p. Giacomo Sagone (1884-1931), professore e Rettore del Seminario e Assistente dei vari rami dell’Azione Cattolica. Di umili origini, riuscì a dotarsi di una cultura profonda che, unita ad una sensibilità squisita, lo rese un riferimento sicuro per tanti giovani e seminaristi, destinati a divenire figure di primo piano nella comunità ecclesiale e civile. Nella sua casa in via Moschitta, si tenevano appassionate conversazioni e si progettavano iniziative di apostolato giovanile.
L’evento bellico, che chiamò tanti giovani al fronte, diede un colpo mortale alla già precarie condizioni dei circoli giovanili cattolici. L’Italia dell’imediato dopoguerra viveva una stagione di grandi fermenti politici e inquietudini sociali, in cui si mescolavano alle promesse di un rinnovamento profondo della vita associata le prime sinistre avvisaglie di tentazioni totalitarie e liberticide. in questo difficile contesto, l’AC calatina languiva. A Caltagirone sorsero il circolo “S. Filippo Neri”, fondato dal Sac. G. Malannino, nel 1919 e quello universitario “Toniolo” nel 1920. A Mineo si costituì il circolo “Don Bosco” nell’agosto 1922 e nel novembre successivo si costituirà il circolo “Pio XI”. In realtà la situazione in cui versava l’Ac era assai precaria: dei tre circoli ufficialmente aggregati e dei quattro non aggregati solo uno, il “Don Bosco” di Caltagirone, dimostrava una certa vitalità.
Tale essendo lo stato delle cose, si poteva ben dire che la Federazione giovanile non esisteva. Per tali ragioni Mons. De Bono decise di affidare nell’ottobre del 1922 a un giovane professore di Lettere classiche, Luigi Marino, la Presidenza della costituenda Federazione giovanile cattolica diocesana. L’incarico era gravoso: occorreva riorganizzare le file della Gioventù cattolica. Ma non erano solo le difficoltà di ordine organizzativo a scoraggiare, quanto le amarezze speciali e le incomprensioni proprio da parte di chi avrebbe dovuto essere più vicino. Marino si mise subito al lavoro: assieme alla Gioventù Femminile organizzò una pesca per l’Epifania del ’23 nei locali del seminario il cui ricavato servì a sostenere economicamente il circolo di Scordia (lire 100 per affitto locali) che languiva da sette mesi e il Reparto Esploratori, per il quale si anticipò la somma di lire 400 e che venne affidato a Salvatore Traversa, giovane studente in Medicina. Ma soprattutto egli cercò di vincere le diffidenze dei parroci verso la nuova Federazione, dapprima con appelli generici e circolari. Rimasti vuoti tali tentativi, cambiò tattica, avvicinando personalmente tutti sacerdoti giovani. Inoltre, nell’ottobre 1923, egli incontrò i parroci, convenuti in seminario per gli esercizi spirituali, e nel corso di una riunione presieduta dal Vicario generale dell’Ac mons. Piluso e dal Segretario del vescovo, si preoccupò di fugare le incomprensioni sorte, chiarendo che la Gioventù cattolica non intendeva affatto sovrapporsi all’autorità del parroco, ma semmai essere di valido aiuto nell’opera di apostolato.
Precorrendo i tempi, Marino intuì l’importanza strategica del laicato per il rinnovamento della pastorale e per garantire una presenza cristiana qualificata in una società sempre più scristianizzata, percorsa dall’onda delle violenze fasciste, eppure anelante all’Infinito. Per quest’opera egli fidava nei più giovani, meno avvelenati dalle mitologie dannunziane superomistiche propagandate da una cultura che tardivamente s’era resa conto di aver prodotto guasti irreparabili. Proprio per questo la pastorale d’ambiente nella scuola e nella cultura costituivano un banco di prova cruciale per la verifica dello slancio missionario della G.C. Frutto di queste idee, fu la costituzione, all’inizio del 1923, dell’Unione Studenti. L’Unione lanciò una sottoscrizione per il ritorno del Crocifisso nelle aule scolastiche, raccogliendo ben 450 firme fra gli studenti maschi, vale a dire fra la stragrande maggioranza degli studenti. In un ordine del giorno votato in un’adunanza tenutasi nella Chiesa del Crocifisso, si chiese al Ministro della P.I. che nelle scuole medie fra i classici latini e greci fossero inclusi anche i rappresentanti del pensiero cristiano.
Quando, nell’adunanza di sezione tenutasi l’11 dicembre nella Chiesa del Crocifisso, in occasione del 1° Convegno diocesano dell’Ac del 9-11 dicembre 1923, il Presidente della Federazione giovanile calatina tracciò un breve bilancio, lo stato delle associazioni giovanili era decisamente migliorato: 5 associazioni aggregate più il Reparto Esploratori; due circoli (Palagonia e Grammichele) con in corso le pratiche di aggregazione; quattro sezioni Aspiranti non aggregate più gli Aspiranti non costituiti in sezione ma partecipanti ai vari circoli; l’Unione Studenti di recente costituzione: in complesso i giovani a vario titolo coinvolti erano circa 350. Per evitare l’acuirsi dei contrasti col fascismo, durante il Convegno, si sentì la necessità di accentuare il carattere confessionale e apolitico della Federazione giovanile diocesana, in modo da evitare di coinvolgerla nelle agitazioni politiche, ma si rivendicò pure la sua irrinunciabile funzione di educazione alla politica. Come vedremo, tale caratterizzazione spiccatamente religiosa non evitò all’Ac calatina che gli strali del regime, a più riprese, si abbattessero su di essa e sui suoi dirigenti.
IL 1° CONVEGNO DIOCESANO AC DI CALTAGIRONE (9-11 dicembre 1923)
Per evitare l’acuirsi dei contrasti col fascismo, durante il 1° Convegno diocesano dell’Ac di Caltagirone (9-11 dicembre 1923) si votò un ordine del giorno in cui si accentuava il carattere confessionale e apolitico della Federazione giovanile diocesana, in modo da evitare di coinvolgerla nelle agitazioni politiche, ma si rivendicava pure la sua irrinunciabile funzione di educazione alla politica. Tuttavia, tale caratterizzazione spiccatamente religiosa non evitò all’Ac calatina che gli strali del regime, a più riprese, si abbattessero su di essa e sui suoi dirigenti.
ORDINE DEL GIORNO:
Il 1° Convegno Diocesano Calatino della G.C.I.
Constatate le persecuzioni a cui in quest’anno sono stati fatti segno i nostri circoli da elementi della violenza fascista o pseudo fascista;
Considerata la preoccupazione assai comune in Sicilia di veder della politica o dei loschi fini personali in qualunque associazione nuova che sorga, anche se giovanile e con statuti e insegne di pura marca religiosa;
Avuto riguardo alla ignoranza religiosa ed allo spirito di diffidenza che domina in molti ambienti della Sicilia, per cui non si valorizzano, né il bisogno d’una formazione spirituale cristiana né quello dell’organizzazione
DELIBERA:
1° di mantenere alto e di propagandare il principio di confessionalità dei nostri Circoli;
2° di promuovere manifestazioni vere e frequenti di vita religiosa;
3° di non partecipare mai a manifestazioni politiche;
4° di educare i giovani ai doveri della vita politica, cioè all’attuazione dell’ideale del vero cittadino e patriotta.
L’AC CALATINA DURANTE L’EPISCOPATO DI MONS. BARGIGGIA.
Il 3 novembre 1924 Marino ricevette dal R. Ginnasio di Piazza Armerina la comunicazione dell’avvenuta nomina come docente straordinario di Materie letterarie al ginnasio inferiore, in seguito al superamento del concorso generale del 1.10.1924. Egli pertanto si trasferì, assieme alla giovane moglie Tanina Colaleo, che aveva sposato il 1 ottobre, lasciando la Presidenza federale della G.C. calatina a quel SalvatoreTraversa, che si era positivamente segnalato nell’organizzazione del Reparto Esploratori.
Il 24 luglio1927 faceva il suo ingresso in diocesi il nuovo vescovo mons. Giovanni Bargiggia. Sin dall’inizio egli intese dare nuovo dinamismo alla pastorale, segnalandosi per l’attenzione privilegiata a due settori considerati strategici: l’Ac e il Seminario, affidato alle cure del fratello Don Carlo.
Nel dicembre 1933 mons. Bargiggia conferì l’incarico di guidare nuovamente la Presidenza federale delle associazioni giovanili di Ac al prof Marino. Contemporaneamente fu nominato Assistente ecclesiastico federale mons. Michele Tiralosi, che subentrò a mons. De Francisci. Marino, che nel frattempo era tornato nella sua città, nel 1926 era stato incaricato di riorganizzare l’Unione Uomini, che nelle parrocchie aveva vita stentata, per cui si era deciso di unire le forze e di costituire un’unione interparrocchiale.
Per il professore calatino era un ritorno alle origini, tanto più inopinato, non solo perché non seguiva la normale prassi (dai giovani solitamente si passava agli uomini e non viceversa), ma anche perché, pochi mesi prima, il 14 marzo, mons. Bargiggia aveva confermato la vecchia presidenza Federale. Indubbiamente si era reso necessario un cambio di guardia, per meglio far fronte ai gravi problemi, interni ed esterni, che attraversava l’Ac calatina. Erano anni difficili. Nel 1931, nonostante il recente Concordato tra Stato e Chiesa, si era arrivati allo scontro diretto col fascismo. I contraccolpi di quei drammatici eventi s’erano fatti sentire anche a Caltagirone: molti dirigenti parrocchiali e diocesani dei vari rami dell’Ac si erano dimessi tra il 1929 e il 1931. Nonostante fosse intervenuto con una lettera di incoraggiamento alle associazioni giovanili cattoliche lo stesso mons. Bargiggia, nel dicembre 1931 la Presidenza Federale aveva restituito a Roma tutte le tessere dell’anno sociale 1931, suscitando l’allarmata reazione dei dirigenti nazionali. A queste difficoltà s’erano aggiunte quelle d’ordine interno: il 4 giugno 1932 il vescovo, in seguito ad atti di insubordinazione e protesta verificatisi in maggio, aveva sospeso da ogni attività il Circolo S. Filippo Neri. La Presidenza Federale aveva successivamente decretato l’espulsione di 11 giovani appartenenti alla disciolta associazione. Per promuovere e sostenere l’Ac il vescovo calatino aveva inviato il 26 novembre a tutti i parroci una lettera circolare con accluso un questionario sullo stato dell’associazione.
Marino, dunque, come era avvenuto nel 1923, venne chiamato ad una difficile battaglia, che assunse con piglio deciso, guidando coraggiosamente la Giac calatina per dieci anni. Furono gli anni in cui alla Presidenza nazionale della Giac venne chiamato L.Gedda. E geddiano può ben dirsi lo stile della seconda presidenza Marino: grande attivismo e visibilità esterna, attenzione agli aspetti organizzativi ed alla pastorale d’ambiente, rivendicazione e difesa ad oltranza della libertà educativa e dell’autonomia delle associazioni giovanili cattoliche rispetto al fascismo.
Nei dieci anni della Presidenza Marino, la Giac calatina non solo quadruplicò i suoi iscritti, ma fu anche in primo piano negli avvenimenti ecclesiali che segnarono la diocesi: il 1° Congresso catechistico diocesano del 24 aprile – 3 maggio 1936 e soprattutto il 3° Congresso eucaristico regionale e 1° diocesano del 5-9 maggio 1937, che vide un’imponente mobilitazione e partecipazione di fedeli, convenuti a Caltagirone da tutta l’isola. La riuscita, oltre ogni previsione, di quest’ultima manifestazione suscitò il sospetto dei gerarchi fascisti, che videro nelle radiose giornate di maggio una sfida al regime.
Ma non si trattò solo di grande capacità di mobilitazione esterna: costante fu la preoccupazione educativa dei dirigenti federali: non si contano gli esercizi chiusi, gli incontri di spiritualità e di studio, le campagne di sensibilizzazione morale di quegli anni. Marino era, difatti, non solo convinto che l’ignoranza colpevole delle verità della fede fosse un peccato grave, condannato dal 1° comandamento, ma che anche gli adulti avessero la necessità di una formazione permanente:
IL 70° DELLA GIAC DI CALTAGIRONE (18 dicembre 1938)
La conflittualità tra i circoli cattolici calatini e i gerarchi locali, si acuì nuovamente nel 1938, quando, ricorrendo il 70° della fondazione della Giac, la Presidenza diocesana organizzò un’imponente manifestazione celebrativa, che si tenne il 18 dicembre nel Seminario diocesano. Il presidente diocesano Luigi Marino tenne un battagliero discorso, in cui esortò i giovani cattolici ad essere “baluardo alzato contro gli attacchi sferrati dai nemici di Cristo”:
«… combattere o perseguitare l’Ac significa inevitabilmente combattere e perseguitare la vita cattolica, cioè la Chiesa cattolica, e lasciare libertà alla Chiesa, implica lasciare la libertà all’Ac […]. Mai la Chiesa potrà rinunciare ad organizzare i giovani che vogliono crescere cristianamente, neanche se altri la impedisse con la forza […]. Mantenendovi compatti nelle associazioni sarete invincibili di fronte a qualsiasi nemico esterno che tentasse di strapparvi la fede in Cristo, o anche solo farvi commettere la suprema viltà di ritirarvi dalle feconde e pacifiche lotte di apostolato, e di starvene appartati e neutrali come se non vi riguardasse la battaglia che si combatte nell’umanità tra il bene e il male. Ricordatevi che qui non c’è posto per i neutrali: o con Cristo e per Cristo o contro di Cristo… La gioventù di Ac ha scelto il suo posto con decisa fermezza e lo ha giurato a sé stessa e a Dio: con Cristo fino agli ultimi aneliti della vita».
Non c’era bisogno di molta fantasia per vedere nelle parole del Presidente federale, noto per le sue idee antifasciste, una sin troppo chiara allusione al fascismo. In seguito a questi fatti, il locale Fascio segnalò tale attività sospetta al Federale di Catania, che ordinò di tenere sotto stretta sorveglianza il professore calatino. Anche il Provveditorato fu interessato alla questione, a seguito di una denuncia del Nucleo Universitario fascista, e fece pressione, tramite il Preside del Liceo Secusio, perché Marino non portasse più pubblicamente, “nemmeno a passeggio”, il distintivo dell’Ac, la cui esibizione gli era stata già da tempo interdetta a scuola. Analoga sorte toccò all’Assistente federale mons. Michele Tiralosi. Una sua predica, tenuta nella Chiesa del Purgatorio di Caltagirone, in cui si commentava il noto passo di Col 3, 10-11 venne interpretata come una velata critica alla politica razziale del regime. Tiralosi fu costretto a lasciare l’insegnamento religioso al Ginnasio e la direzione spirituale della Giac: solo il trasferimento urgente a Vizzini gli evitò il confino. Gli successe mons. Nicotra, il battagliero direttore del quindicinale «Vita». Ma anche il neo Assistente non fu gradito al regime, tanto è vero che nel 1941 gli fu sequestrato e chiuso il giornale, per aver ospitato un articolo ritenuto gravemente offensivo per il Duce.
Giacomo Belvedere