C’era una volta… Rileggiamo la storia de “I vestiti dell’Imperatore”,
cercando di focalizzarne i personaggi…
1. Il RE
- Chiuso in atteggiamento autistico/ atteggiamento ossessivo/ atteggiamento ruminante.
Impariamo chi siamo e chi diveniamo dentro il tempo della relazione altrimenti ci cuociamo nella nostra solitudine (es: parrocchie, gruppi, associazioni, parroci/ laici)
- fa selezione del contenuto della sua vita, del tempo della sua vita, delle sue relazioni
Vanità/Arroganza/Presunzione/Paura sono tutti atteggiamenti di chiusura alla relazione
E’ necessario passare dal Noi simbiotico all’Io narcistico, all’io reale, all’Io relazionale
Abbiamo tutti L’icona di Narciso nella nostra anima…
Io so la verità su di me sul mondo e sull’Altro quando entro in relazione. Non può esistere relazione e rimanere in essa se si assumono atteggiamenti di potere sull’altro, atteggiamenti di bravura o di presunta bravura. Una identità che abbia elaborato la ferita narcisistica non ha bisogno di applausi o di primi posti, di consensi, perchè può vivere nella marginalità e nel silenzio il fiume sotterraneo del proprio amore che dà senso alla vita e alla fatica.
E’ in rapporto ad un Tu che si impara a portare il proprio limite, altrimenti si ha bisogno di un posto tranquillo e protetto in cui rifugiarsi (la stanza del re e davanti agli specchi).
Il passaggio dall’Io al Tu è fatto di contrattazione
(es: l’abbraccio è una contrattazione, ti deve soddisfare e devi soddisfare, ci sei tu e devi tenere conto dell’altro).
Se aboliamo il contratto, il discutere, il mettersi d’accordo, la chiarificazione, aboliamo l’appartenenza e la novità esplorativa. Il narcisista non ha voglia di contrattare, è centrato su se stesso e seleziona tutto: Può entrare in relazione solo con chi vuole e e con chi lo può portare sulle spalle (!!!).
Perchè la paura nela relazione?
- Abbiamo tutti paura di sentirci diversi dagli altri e paura di avvertire gli altri diversi da noi, come una minaccia della nostra dis-conferma. La diversità rimanda in modo drammatico all’unicità che è un dato di fatto ma che necessita un percorso di crescita per essere accettato. Per vivere la nostra unicità dobbiamo avere accettato di essere separati non per cattiveria nostra o altrui ma perchè questa è la più grande vocazione di ogni essere umano, Essere se stessi. Non esprimere se stessi per paura che la propria diversità non venga accettata significa tradire se stessi. Solo chi vive con serenità il fatto di essere unico, inevitabilmente diverso dagli altri, può diventare “il poeta della propria esistenza” ovvero può affrontarla con coraggio e apertura creativa, pronto al rischio e alla bellezza di un incontro non confusivo e di una distanza non umiliante o vendicativa. La ricerca ossessiva di consensi impoverisce noi e il mondo nel quel siamo inseriti.
- Un altra paura è che l’altro sia diverso, che non sia inquadrabile nei nostri schemi, controllabile dalle nostre insicurezze. La diversità dell’altro ci chiede continuamente di uscire da noi stessi ogni volta che impariamo sempre di nuovo a non omologare la diversità o a non annullarla, rendendola una cosa o puro oggetto del desiderio. Il cammino che conduce all’ascolto e al rispetto delle altrui diversità è impegnativo come un parto. Anche a livello educativo l’autorità non fa crescere se accetta l’altro ma non la sua originalità (ti do tutto quello che vuoi purchè tu non esprima un punto di vista diversa da quello che io condivido)
- la diversità rimanda alla mia povertà, ai miei limiti, a tutte quelle qualità quei doni, quelle esperienze quegli spazi che non mi appartengono e che non posso controllare, usurpare…per non sentire il bruciore della mia ferita posso usare tante strategie : neghiamo all’altro il diritto della sua unicità, dichiariamo la nostra posizione migliore della sua, diventando esperti nel giudizio e e nel confronto, lo bolliamo secondo le nostre categorie mentali o le sue appartenenze sociali, di classe…
- arroganza, narcisismo, presunzione sono volti diversi di della stessa paura di confrontarsi con la differenza. Forse la sfida sempre aperta per ogni uomo è vedere ‘estraneo in ogni familiare e il familiare in ogni estraneo. Se accogliamo l’estraneo imponendo le somiglianze o se lo rifiutiamo esasperando le differenze costruiamo relazioni città diocesi, parrocchie, destinate all’autodistruzione.
Di fronte ad un tu mi riconosco e scopro il mio io e, poiché provengo da un’appartenenza, solo quando mi sento visto dall’altro mi sento confermato nell’essere presenza nel mondo. Il volto dell’altro provoca l’esodo da noi stessi ci fa lasciare l’Egitto e ci introduce nella terra promessa. Tutti cerchiamo un calore che ci accoglie e ci contiene per sentirci salvati dall’essere gettati nel mondo. Mi salva l’altro a cui mi affido e mi consegno. Fino a quando sono centrato su di me e riesco a controllare tutto e tutti non ho sperimentato la salvezza. Solo quando riuscirò a consegnarmi all’altro senza aspettare o pretendere che sia come lo voglio io, saprò cosa significa essere salvati dall’ombra dell’egocentrismo e dell’auto affermazione. Mi salva l’altro quando mi rimanda al mio limite. Non solo se con i suoi doni mi segna il perimetro sempre troppo ristretto delle mie qualità , ma molto più quando apre lo scrigno della mia vulnerabilità, mi mette in ginocchio e mi fa sperimentare il bisogno, le mie meschinità, le paure, le mie ossessività, le mie furie che sono l’ombra del mio cuore. Solo così l’altro mi salva dall’illusione di una perfezione senza vita e da un delirio di autosufficienza. Se io maturo questo allora anche in un grave conflitto relazionale posso leggere l’altro come luogo privilegiato di nuova epifania, l’altro mi parla di me e mi rivela, altrimenti sarà un luogo di reciproche accuse. L’umiltà dell’accettazione delle mie luci e ombre mi salva e mi fa stare alla pari con altro o meglio ancora non è l’altro che mi salva ma la relazione che invento con lui.
La méta di ogni relazione è sentirsi pari all’altro, pur essendo diversi da lui, e sentire l’altro paritario seppure diverso. Solo la parità ci permette di uscire dall’intrigo delle differenze e di viverle come ricchezza. Se è vero che alcune differenze vanno chiarite e purificate è altrettanto vero che impareremo a farlo solo camminando assieme nel territorio di tutti in cui nessuno domina o è dominato. Il territorio della compagnia e della fraternità.
2 Il re incontra in questo suo narcisismo la collusione e la manipolazione di alcuni: I ladri!
Io rimango nel mio narcisismo e aspetto che altri mi regalino tout court abilità che solo nell’incontro con l’altro, nella contrattazione con l’altro posso esplorare e sviluppare
il re cerca la sua stessa abilità di cui sente mancare ma non esplora altro. Incappa in ladri di professione che tolgono abilità e autostima. E’ il segreto della manipolazione (asservirmi di qualcuno per ottenere privilegi). Esistono manipolazioni interiori, relazionali, politiche ecclesiastiche. La manipolazione però se è accettata fa sempre leva nella coerenza di un io deficitario che non ha attraversato l’incontro contrattato. L’esserci di entrambi, che non ha soddisfatto l’esserci di ciascuno. Io non ho attraversato l’incontro e penso di sviluppare abilità di comprensione dell’altro senza scomodarmi, senza soffrire, senza entrare in crisi, senza crescere, facendomele regalare da chi si approfitta del mio narcisismo, vestendo il tessuto del niente della manipolazione. Ladri e re si concedono, si manipolano e colludono a vicenda in un “bunga bunga” delirante.
Idea sociale: “solo chi può vedere è intelligente”
1. Primo ministro: non vede nulla realtà, sarei uno stupido (è la sua paura interiore) io che sono reputato intelligente non ho parole
2. dama di corte: “buon gusto” sarei una sciocca io che non vedo (la sua paura interiore) ha costruito su questa la sua facciata , “sono tessuti degni”
3. Sviolinata all’imperatore
4. quando l’imperatore si reca rimane sconvolto (non ha sviluppato abilità per leggere la realtà, non è mai rimasto solo un momento con se stesso per leggere la realtà e confrontarsi)
la manipolazione non ha contenuto ed è sostanza senza obbiettivo fine, è invece una trama relazionale che asserve-
3 La folla si adegua, critica, fa rumore sottofondo, dirige ma non si espone nella responsabilità, serve un “Buon Pastore” che si assume la responsabilità di portarla e dirigerla.
La ricerca ossessiva del consenso impoverisce il mondo… e infanga l’autenticità.
4 il Bambino espressione della nostra autenticità non è ingabbiato in trame relazionali, in narcisismi vari, in manipolazioni, non giudica ma guarda ciò che vede ed esprime parere. “Lasciate che i piccoli vengano a me”, “Se non diventerete come bambini non entrerete” a volte bisogna restare soli e spaventati come bambini e scegliere di rimanere in compagnia della propria coscienza.
Consola chi facilità la ricerca e la scoperta del senso del dolore, senza sostituirsi all’altro: ognuno ha il diritto e la forza di portare il proprio dolore. Consolare è accompagnare la persona nel suo cammino di accettazione e risignificazione della propria fatica di vivere.
E’ misericordioso chi ha un cuore per gli infelici e per i poveri, ma per potere avere un cuore per i poveri e per gli infelici egli deve avere un cuore per ciò che di povero e infelice è dentro il suo cuore e se lo deve riconoscere. Noi riusciamo a dare solo se riceviamo altrimenti andiamo incontro ad un esaurimento. Non siamo Dio che possiamo attingere alla nostra pienezza.
Finale:
L’autoironia è segno di maturità umana e di integrità personale, ma può essere anche manipolativa, squalificante e distruttiva quando vuole evitare il confronto, diventando vile. La vera autoironia ci rende leggeri a noi stessi e agli altri. Il sano prendersi in giro esprime un atteggiamento disteso riconciliato libero. Bisogna però avere maturato una profonda riconciliazione con noi stessi e una distanza ottimale tra noi e le cose tale che possiamo acquisire il superamento dell’egocentrismo e di una buona saggezza di vita. E’ necessario essere lontani dalla preoccupazione eccessiva della propria immagine e della pretesa di fare di se stessi un “personaggio”. Sa ridere dei propri limiti, delle proprie gaffes chi ha compreso che non ci si realizza nelle strade illusorie e fredde della perfezione e delle apparenze, ma aprendo il cuore all’altro e all’incontro paritario. Chi sa vedere che ogni grandezza umana è limitata e non ha paura di vedersi rimpicciolita la propria icona di narciso.
L’autoironia acquista una finezza particolare quando si aggancia con serenità e naturalezza all’ironia dell’altro e ciò è espressione di sana autostima e di competenza relazionale. Quanto vale prendersi in giro davanti a allievi, figli, ammiratori e dipendenti…
Se il re fosse stato capace di ridere di se stesso e di accorgersi di essere nudo avrebbe mostrato grandezza interiore e si sarebbe liberato da sé da quella gabbia menzognera e manipolativa. Ma se non lo fa lui, c’è sempre un Bambino che vedrà il bluff e provocherà l’ironia degli altri che non sempre è pulita e rispettosa in alcuni casi. L’autoironia ci toglie dal palcoscenico e ci riporta la bella compagnia degli uomini… e ci salva.
In Pinocchio
Fatina: “i ragazzi che assistono amorosamente i propri genitori meritano grande lode e affetto anche se sono stati disubbidienti e non sono stati modelli di buona condotta”.
Pinocchio da corpo legnoso diventa corpo umano, non quando diventa ubbidiente e ligio alle regole, formale vuoto, ma quando scopre di “Amare il Babbo” e guadagna così un cuore buono. Le regole senza il cuore buono della relazione sono formali, fredde paurose, dipendenti. Il cuore buono della relazione crea corpi e cuori umani .
Dobbiamo augurarci che quanti educhiamo guadagnino un cuore buono e tanta audacia pefrchè abbiamo loro regalato il cuore della nostra umanità
Vivere il momento presente come portatore di Kairòs, tempo di salvezza, è dono concesso solo a chi è disposto a consegnarsi al tempo e alla relazione, solo a chi è disposto a perdere tempo nella relazione per non perdere il tempo della relazione.
Dott.ssa Maria Carmela Vinci, Psicoterapeuta
INCONTRO PER A.C. DELLA DIOCESI DI CALTAGIRONE
4 Dicembre 2011