Parlare di educazione oggi significa parlare di qualcosa di cui tutti parlano e, al tempo stesso, di cui nessuno parla. Non appena, ad esempio, accade qualche fatto di cronaca che coinvolge delle persone nell’età della crescita, tutti sono pronti a tirare fuori le responsabilità educative della famiglia, della scuola, della televisione, tutti pronti a puntare il dito su chi non ha fatto la propria parte nell’educazione di quei soggetti.
Quando, però, si pone il tema dell’educazione in termini di prevenzione, cioè come strategia di intervento personale e sociale con tanto di progetti finalizzati, ci si scontra con l’indifferenza generale. La parola educazione diventa una forma di tabù davanti al quale si tace, perché c’è il timore che educare possa voler dire “violare” la libertà di qualcuno, imporre qualcosa a qualcuno e così via.
In tal caso assistiamo alla delega del ruolo educativo da parte della famiglia nei confronti di vecchie e nuove agenzie educative e viceversa, tutte rassegnate al pluralismo e al relativismo imperante, e all’impossibilità di interpretare la persona nella sua globalità. Meglio allora accontentarsi di frammenti di progetto, di programmi limitati. Un livellamento verso il basso, attorno ad un minimo comune denominatore, che dica “senza dire troppo”!!!
C’è anche chi dà un significato riduttivo allo stesso concetto dell’educare, facendolo coincidere con una sorta di apprendimento di abilità, capacità, competenze destinate ad essere “spendibili”per entrare prima e meglio nel ciclo produttivo. Fornire ad una persona questo tipo di strumenti significa allora, in questo senso, dare una “buona” educazione.
Cosa intendiamo per “educazione” e per scelta educativa?
Crediamo che, oggi come ieri, per credenti e non credenti, l’idea di educazione debba essere ispirata al principio del fornire ad una persona in crescita gli strumenti in grado di assicurare la capacità di assumersi e di gestire la propria responsabilità di adulto.
Oggi, molto più che in passato, mancano i punti di riferimento e gli orientamenti di tipo collettivo con la conseguenza che risulta più complessa e difficile la gestione della propria libertà e l’esercizio della responsabilità a livello personale. Più si indeboliscono le proposte e le domande di senso collettive, più cresce la necessità di dominare a livello personale, in proprio, la responsabilità adulta.
Ha senso allora parlare ancora di scelta educativa?
Noi crediamo di sì. Oggi l’Associazione ribadisce con forza l’importanza della scelta educativa come forma profetica di speranza. Crede nel valore dell’educazione chiunque – si tratti di genitori, insegnanti o di quanti organizzano il tempo libero dei giovani – abbia la convinzione che crescere non è facile e si preoccupi di mettere in atto azioni e strategie che aiutino la persona a raggiungere responsabilmente l’età adulta.
Crede nel valore dell’educazione chi è ancora preoccupato di aiutare i piccoli e i giovani a diventare uomini, individui capaci di relazioni positive, di creatività e di autonomia. Crede nel valore dell’educazione chi crede che anche gli adulti “anagraficamente” possano imparare dal confronto con i più giovani ed educarsi reciprocamente.
Crede nella scelta educativa chi è ancora convinto che la libertà è tale se è una libertà educata, secondo un progetto che si fonda su un’antropologia e su una visione integrale dell’uomo.
Educare, alle soglie del terzo millennio, è, allora, più che mai una scelta profetica, di speranza, non solo perché sono rimasti pochi a crederci, ma anche perché significa scommettere sull’umanità creata a immagine e somiglianza di Dio, aver fiducia nell’uomo, in ciascun uomo e nelle sue capacità.
Educare significa riuscire a oltrepassare la logica del “qui, ora e subito” e immetterci nella prospettiva della speranza: ciò che non è ancora, noi lo costruiamo fornendo ad altri gli strumenti per realizzarlo, senza neppure sapere, noi stessi, come sarà.
La formazione, nella sua duplice componente di storia di cambiamento (formarsi) e di azione mirante a promuovere il cambiamento (fare formazione), è un fatto concreto che sta in stretto rapporto con la dinamicità della vita. Più la formazione è concepita come urgente, importante, necessaria, più chiede di essere costantemente adeguata nella sua realizzazione e nella sua formulazione teorica. Da sempre in Azione Cattolica si opera per la formazione e si vive la formazione. Conseguentemente da sempre è presente la sensibilità verso l’adeguamento dell’intervento formativo, verso una maggiore efficacia dei metodi e dei modelli teorici. Questa sensibilità all’adeguamento però è direttamente proporzionale alla percezione del cambiamento. Quando la percezione del cambiamento è forte, anche l’esigenza formativa aumenta di intensità, emergono le domande sulle ragioni, sulla adeguatezza di ciò che si sta facendo.
Sensibile e attenta ai cambiamenti della società e della comunità ecclesiale, l’ACI ha percepito in questi anni la richiesta di porre mano alla formazione, perché fosse capace di essere all’altezza dei tempi. Sulla scia del rinnovo dello Statuto e della crescente consapevolezza del significato della scelta religiosa, vi è stata la “stagione dei progetti” a cui ha fatto seguito un denso lavoro di rinnovamento delle proposte formative dei singoli settori, delle articolazioni, dei movimenti, lavoro che ha condotto alla stesura dei Cammini Formativi. In base ai diversi destinatari si sono specificati obiettivi, contenuti, metodologie, costruendo così un insieme molto ricco di percorsi. Ci sembra importante ripercorrere allora l’iter che ha condotto alla stesura dei CF e soprattutto la logica che vi sta dietro, quella dell’attenzione alla persona, ribadendo come i CF, al di là dei limiti o delle potenzialità che presentano, siano degli strumenti di cui servirsi per realizzare il fine dell’Associazione (formare le coscienze, servire la Chiesa e il mondo) e per servire le persone a noi affidate. L’ACI cerca di formare soci autenticamente credenti, che siano consapevoli della chiamata a rispondere alle esigenze del Vangelo oggi, che conoscano i contenuti della loro fede per “dar ragione” di essa, che siano in grado di testimoniare con la loro vita il Cristo risorto.
Il sistema educativo – formativo dell’ACI deve avere il carattere della flessibilità per essere autenticamente in grado di servire le persone nelle loro diverse situazioni, di rispondere alle sollecitazioni che provengono dalla Chiesa, universale e particolare, dalla base associativa e dalla società in continuo cambiamento.
Flessibilità significa pluralità di percorsi e di iniziative e soprattutto attenzione costante alle singole persone. Il sistema educativo – formativo non può pertanto essere pensato come una scuola alla fine della quale si consegue un titolo, ma come un insieme organizzato e coerente di stimoli e proposte che sollecitano un’autentica esperienza associativa. Flessibilità non è semplice somma di tante cose, ma attenzione alle diverse realtà, all’interno dell’unico “progetto” dell’ACI.
La vita di ogni giorno mette in luce l’insufficienza di una formazione affidata principalmente alla catechesi tradizionale, ed evidenzia la necessità di una formazione che tenga più conto delle dimensioni della vita, che nella concretezza del suo svolgersi pone alla coscienza cristiana domande sempre nuove.
L’ACI di oggi è erede e responsabile di una grande tradizione, e soprattutto di un grande esempio di intuizione, di creatività, di geniale capacità di interpretazione del proprio tempo. L’ACI continua a proporsi di formare laici capaci di vivere con maturità la loro esperienza cristiana nel mondo, e capaci di contribuire in modo corresponsabile alla vita della comunità ecclesiale, con uno stile di dialogo e di servizio.
Queste affermazioni, così alte e impegnative sul piano ideale, rischiano, però, di essere inefficaci, quasi inutili, sul piano educativo – formativo, se non vengono tradotte in scelte più concrete, più vicine al vissuto delle persone, e adatte a interpretare i caratteri precisi di questo tempo.
Quando i laici di ACI sanno far emergere l’autenticità della loro “ricerca umana”, del loro cammino di spiritualità, quando sanno dar voce al desiderio di tutti gli uomini di attribuire significati nuovi e freschi alle dimensioni e alle vicende di ogni giorno, allora la loro testimonianza coinvolge anche altre persone, spesso ai margini di un’appartenenza ecclesiale o di un’esperienza religiosa trascurata, più che rifiutata.
L’ACI, allora, non solo con i suoi gruppi, i suoi responsabili, i suoi Cammini Formativi, ma anche con i singoli soci potrà contribuire a quella nuova evangelizzazione che nei laici può avere dei soggetti certamente competenti. Le “nuove sfide”, come le abbiamo chiamate, sono allora espressione dell’esercizio del dono della laicità dei soci di ACI dentro la comunità ecclesiale e la società italiana.
Margherita Marchese